Perché giochi di cornici?
Arrivati sino a questo punto del nostro viaggio, possiamo vedere ogni persona come portatrice di una prospettiva personale da cui osserva la realtà.
Così, quando le persone si incontrano, ecco che le loro cornici si intrecciano nei più svariati modi: ed è proprio in questo spazio poliedrico di intersezione che comincia l’affascinante gioco della comprensione reciproca.
Ma per poter osservare questo complesso intreccio di prospettive, proviamo a guardarle un attimo dall’alto.
Sistemi semplici e sistemi complessi
Quando si è all’interno di sistemi semplici, la cornice entro cui si dispiegano i significati è la stessa per tutti i soggetti coinvolti: tutti condividono le stesse premesse implicite, e perciò le stesse cose assumono gli stessi significati per tutti.
E’ quello che accade quando osserviamo tutti una forchetta, e tutti condividiamo allo stesso modo che la forchetta “è” una forchetta. Stessa cosa, stesso significato.
Ma quando ci si sposta da sistemi semplici a sistemi complessi, la faccenda si fa più complicata.
Nei sistemi complessi infatti le stesse cose assumono significati diversi, perché ciascuno degli osservatori è portatore di una propria cornice e di premesse implicite diverse.
Supponiamo ad esempio di dare la stessa forchetta a un bambino.
Probabilmente nel giro di pochi minuti la forchetta per lui potrebbe non essere più soltanto una forchetta: potrebbe diventare un trenino, un bambino, un cagnolino e chissà quante altre cose.
L’immaginazione dei bambini a volte è spiazzante per un adulto.
Stessa cosa, significati diversi. Siamo già passati in un sistema complesso…e dire che si tratta “solo” dell’incontro con un bambino!
Proviamo ad osservare un attimo le immagini qui sotto.
Quante figure riuscite a riconoscere nella prima immagine? Riuscite a vedere sia il vaso al centro che i due volti umani di profilo? In che modo riuscite a passare da una visione all’altra?
E nella seconda immagine? Riuscite a scorgere sia la giovane donna con la testa voltata dall’altra parte, sia l’anziana signora con la testa china?
Stessa immagine, figure diverse.
Quale processo mettiamo in atto per poter vedere entrambe le figure?
Semplicemente, spostiamo il nostro sguardo.
Questo gioco ci permette di intuire quante figure si possano vedere soltanto spostando lo sguardo da un punto all’altro del campo. Le figure che emergono dipendono dal punto di osservazione e da ciò che già noi conosciamo.
Se chiamassimo qui un alieno a vedere le stesse immagini, probabilmente vi scorgerebbe forme che noi nemmeno riusciamo a immaginare.
Questo è quello che avviene nei sistemi complessi: le stesse cose possono apparire completamente diverse a seconda della prospettiva assunta da ciascun osservatore.
Esperienze di interfaccia negli incontri con gli altri
Si potrebbe dire che le relazioni umane siano quasi sempre esperienze di sistemi complessi.
Se ci pensiamo, persino all’interno di una stessa cultura condivisa, o di una stessa sottocultura condivisa, la molteplicità dei significati del tutto personali rende ogni incontro un’esperienza di interfaccia al confine tra le diverse prospettive messe in campo.
Il problema sorge quando ci dimentichiamo di essere ciascuno portatore di una propria cornice.
Ci dimentichiamo della complessità.
Il giudice saggio
Ecco una storia interessante.
Un giudice saggio ascolta uno dei due litiganti al suo cospetto, e dice “Hai ragione”.
Poi ascolta il secondo e dice “Hai ragione anche tu”.
Infine, si alza uno del pubblico: “Eccellenza, non possono avere ragione entrambi!”.
Il giudice ci pensa un attimo e poi risponde serafico: “Hai ragione anche tu!”.
Questa storiella ci illustra quello che avviene nei sistemi complessi: la logica classica non funziona più. Occorre un pensiero più articolato che ammetta la possibile coesistenza e validità di tutte le cornici in campo.
Non si tratta di dire che tutti hanno ragione sul piano etico. Occorre uscire dall’etica ed entrare nel campo della creatività dove ogni sguardo è plausibile. Non giusto, non corretto, non vero. Plausibile.
Bisogna entrare in un modo di vedere le cose che consenta di osservare le contemporanee cornici presenti: la forchetta può essere forchetta, ma può essere anche un bambino-trenino-cagnolino.
Due cornici entrambe plausibili.
Qui non si tratta di negare la mia cornice per ammettere la tua. Né di negare la tua per affermare la mia.
Né di dire quale delle due è più giusta, etica e veritiera. Si tratta solo di concedersi la possibilità di uscire dalle rispettive cornici per guardarle entrambe.
Grafico 1.
Come risalire alla propria cornice e come vedere le altre in campo?
1. Quando le cose non tornano, potrebbe venirci un dubbio: forse siamo all’interno di un sistema complesso ma stiamo usando un pensiero semplice.
Se continua a esserci un’incomprensione potrebbe essere che entrambe le persone si stiano ostinando a vedere le cose solo dalla propria cornice, senza ammettere la coesistenza di una pluralità di visioni.
Ognuno rimane impantanato dentro la propria cornice. Perché succede?
2. Quando due cornici molto diverse tra loro sbattono l’una contro l’altra, è facile scivolare in un atteggiamento difensivo-offensivo, cercando di far prevalere la propria cornice sopra quella dell’altro.
Questo succede perché la premessa comune è che sia possibile una sola cornice, come nella logica classica: o è vera la mia o è vera la tua. In realtà, entrambi gli interlocutori sono all’interno di una stessa cornice più ampia, quella della logica. Se usciamo da questo schema della logica classica, ammettendo la plausibilità di più cornici, allora non abbiamo più bisogno di questo atteggiamento difensivo-offensivo.
Possiamo sostituirlo invece con uno di tipo esplorativo: immaginiamoci come scienziati curiosi che vanno alla ricerca e all’osservazione sperimentale.
Esplorare non significa legittimare. Significa incuriosirsi e osservare.
Significa essere nell’atteggiamento di dire: “se qualcosa non sta funzionando, sono nelle condizioni ideali per imparare qualcosa sulle mie premesse e su quelle dell’altro”.
3. Per poter vedere il quadro più ampio, occorre essere consapevoli che qualsiasi visione personale è una cornice, anche la propria.
Per tenerlo sempre presente, può essere utile sostituire il verbo “essere” col verbo “potere”: non “è una forchetta” ma “potrebbe essere vista come una forchetta…. ma anche come un trenino”.
Ci ricordiamo in questo modo che esistono sempre altri punti di vista possibili da cui guardare le stesse cose.
Posso dire “io ti vedo sulla difensiva”, anziché “tu sei sulla difensiva”: dire “ti vedo” ricorda istantaneamente a entrambi che si è sempre all’interno di qualche cornice.
Il linguaggio ci aiuta a costruire il pensiero e ad ammetterne altri possibili.
Allo stesso modo, possiamo sostituire l’indicativo col congiuntivo e condizionale.
Ricordiamoci che siamo nel campo delle ipotesi e delle possibilità, questo rende pensabile ampliare lo sguardo e ammettere altri modi di vedere le cose.
Quando siamo di fronte a un fenomeno complesso, da più prospettive lo vediamo e più articolata sarà la sua descrizione.
4. Per potermi avvicinare alla cornice dell’altro devo essere consapevole di come vedo le cose entro la mia cornice, che invece spesso diamo per scontata.
I fraintendimenti, le incomprensioni, le gaffe possono venirci in aiuto se invece di vederli come incidenti di percorso, li guardiamo come informazioni importanti sulle rispettive cornici che sono in campo: ci informano sia sulla nostra cornice che su quella dell’altro.
Quando vado incontro ad un fraintendimento, e le mie premesse vengono invalidate, posso chiedermi: come strutturavo inconsciamente il campo perché questi significati mi sono apparsi logici e scontati?
Ogni volta che, per esempio, rimaniamo sorpresi o anche delusi dal comportamento di un’altra persona, possiamo chiederci cosa ci aspettavamo, quali comportamenti consideriamo naturali per quella situazione e quali no, e quali sono le premesse implicite che regolano le nostre anticipazioni in una certa situazione.
Un esempio. Una volta vidi un anziano signore cadere a terra, e subito gli offrii il mio aiuto per rialzarsi. Con mio stupore, l’uomo mi lanciò un’occhiata e rispose seccato “Mi rialzo da solo”.
Questo piccolo episodio può essere considerato un’esperienza di interfaccia: il mio stupore e la risposta inaspettata del signore ci indica che siamo al confine tra due diverse cornici.
Quali?
Da un lato, lo stupore offre informazioni sulla mia cornice: aiutare chi è in difficoltà è un gesto naturale e viceversa essere aiutati quando si è in difficoltà è un’esperienza piacevole.
Dall’altro, informa sulla sua cornice: essere aiutati può essere un’esperienza spiacevole.
Se non si rimane intrappolati dentro la propria cornice, si può riuscire a vederle entrambe:
Grafico 2.
A questo punto, potrei usare l’episodio per comprendere meglio la mia cornice:
come strutturavo le cose per cui avrei dato per scontato che il gesto di offrire aiuto fosse apprezzato? Cosa significa per me aiutare ed essere aiutati?
Inoltre, vedere un’altra cornice possibile, può permettermi di ampliare la mia visione delle cose: essere aiutati può essere un’esperienza sia piacevole che spiacevole.
Ora posso disporre di una cornice più ampia.
5. Per poter esplorare il punto di vista dell’altro, devo chiedermi: in che modo devo guardare le cose perché la cornice dell’altro abbia un senso?
Occorre farsi giudice saggio e partire dal presupposto che anche la cornice dell’altro sia perfettamente plausibile: entro la sua cornice, anche lui “ha ragione”.
Entro la sua cornice: non stiamo stabilendo quale delle due è più legittima.
Com’è organizzata e tenuta insieme la sua cornice perché tutto ciò che fa, abbia una coerenza interna e un senso?
Se non riesco a vederci chiaro, posso sempre chiedergli di aiutarmi a vedere le cose dalla sua prospettiva.
Tornando all’esempio dell’anziano signore, posso chiedermi in che modo per lui essere aiutati può essere un’esperienza spiacevole.
Non conoscendolo, potrei azzardare diverse ipotesi:
– Forse fatica ad accettare il proprio invecchiamento e l’idea di poter perdere la propria autosufficienza e il proprio ruolo sociale: rifiutare l’aiuto potrebbe essere un modo per negare questa condizione e affermare la propria autonomia e il proprio vigore.
– Forse, essere aiutati è sempre stata per lui un’esperienza di debolezza, mentre preferisce riconoscersi come persona forte e in grado di cavarsela da solo. Per cui non può accettare di fare esperienze che gli richiamino una condizione di debolezza.
– Forse, cadere per strada davanti a molti sconosciuti è per lui una situazione imbarazzante. Rialzarsi prontamente da solo potrebbe essere un modo per dare meno nell’occhio e riparare all’imbarazzo.
Potremmo andare avanti a fare molte altre ipotesi, più ne facciamo e più disporremo di un repertorio che ci aiuta a guardare le cose con sfumature più articolate. Poi si tratterà di verificarle.
6. Il punto è chiedersi come stanno insieme, nella cornice dell’altro, eventuali comportamenti che per me potrebbero essere incoerenti, partendo dal presupposto che l’incoerenza è solo negli occhi di chi guarda.
Ogni volta che vedo un’incoerenza nell’altro, è un segnale che indica che sto guardando le cose dalla mia cornice, non dalla sua. L’incoerenza che vedo mi informa ancora una volta su com’è organizzata la mia cornice: perché questi comportamenti mi appaiono incoerenti? Quali mie premesse implicite rendono questi comportamenti incoerenti fra loro?
Viceversa, occorre tenere presente che all’interno di ciascuna cornice vi è sempre una coerenza.
Ciò che ai miei occhi appare contradditorio, per l’altra persona non lo è.
Per vederne la sua coerenza, devo uscire dalla mia cornice e entrare nella sua, chiedendomi: come devo vedere le cose perché questi comportamenti mi appaiano coerenti? Qual è il suo filo rosso che li tiene insieme?
Il suo, non il mio.
7. Usare le emozioni dell’incontro come informazioni sulle mie cornici, invece che come distorsioni.
Nell’esempio precedente, l’emozione dello stupore ha svolto un ruolo di informazione: mi informa che sono dentro a una cornice in cui dò per scontati alcuni comportamenti, e invece se ne stanno verificando altri.
Al posto dello stupore, avrei potuto potenzialmente provare anche rabbia (“ ma che modi sono, rispondere in modo seccato a un atto di gentilezza?”), o senso di colpa ( “non sono stata capace di comprendere questo signore”), o senso di umorismo ( avrei potuto trovarmi a ridere dentro di me pensando a quella situazione paradossale), e così via.
Ciascuna di queste emozioni avrebbe potuto darmi preziose informazioni sul modo in cui io leggevo gli eventi in campo e sulle premesse che reggevano le mie cornici.
Spesso interpretiamo le nostre emozioni come dati di realtà su com’è l’altra persona: se provo rabbia, è perché tu ti stai comportando male con me. Se provo simpatia, è perché tu sei una persona simpatica.
Leggiamo le nostre emozioni come la conseguenza del modo in cui l’altro è o si comporta con noi, come se fossero informazioni veritiere su di lui, invece che come emozioni che proviamo noi in certe situazioni.
Possiamo invece considerare le nostre emozioni come nostre: mi informano ancora una volta sulla mia cornice entro la quale quell’emozione sorge spontanea.
Come mai mi arrabbio se una persona si comporta in un certo modo con me? Come leggo la situazione? Cosa si è spezzato nella mia cornice per cui io provo rabbia?
8. Allo stesso modo, posso provare a dare un senso alle emozioni dell’altro, invece che reagire istintivamente a quelle emozioni.
Se l’altra persona è arrabbiata con me, la sua rabbia non mi dice necessariamente che io ho sbagliato qualcosa, o che lui è una persona irosa, o che il nostro rapporto è in crisi.
Mi dice che in questa situazione qualcosa della sua cornice ha sbattuto contro gli eventi: in che modo legge la situazione per cui quello che è successo gli fa provare rabbia? La sua tristezza in questa situazione cosa mi dice riguardo alla sua cornice?
9. Andare alla verifica delle cornici.
Come scienziati esploratori dei mondi degli altri, possiamo procedere per ipotesi- esperienze- verifiche- correzioni.
Possiamo osservare quello che accade con spirito curioso e interessato, e risalire dagli eventi a tutte le cornici possibili, ampliando lo sguardo fino a contemplare la plurima plausibilità di diverse cornici.
Si può usare l’immaginazione per dare un senso ai segnali che osserviamo, e usarli per ipotizzare alcune delle cornici possibili. Più cornici immaginiamo, più saremo in grado di avvicinarci alle cornici degli altri.
Poi si tratta di verificarle: tutti i segnali e i comportamenti successivi possono essere visti come ulteriori informazioni sulla cornice che l’altro mette in campo in quella determinata situazione.
10. Mettere al centro dell’attenzione quei dettagli che disconfermano le mie ipotesi e che mi costringono a rivedere le mie premesse.
Come abbiamo detto nell’articolo precedente, spesso andare all’esplorazione di punti di vista diversi e mettere in discussione se stessi e le proprie idee sugli altri, può essere faticoso.
Ma un bravo scienziato non legge i propri “errori” come qualcosa di temibile che va evitato.
Considera l’errore come amico, perché permette di vedere qualcosa che ancora non abbiamo visto, o di rivedere qualcosa che abbiamo dato per scontato. Ci permette di affinare le nostre ipotesi e di avvicinarci maggiormente alla comprensione dell’altro.
Per farlo, dobbiamo essere disposti a mettere al centro del nostro sguardo proprio quegli aspetti che a volte preferiremmo non vedere, quelli che in parte forse disconfermano anche qualcosa di noi e delle nostre premesse implicite.
Invece che vederli come fallimenti delle nostre cornici, potremmo vederli come spunti preziosi per arricchire il nostro sguardo e rendere le nostre prospettive sempre più articolate: più saranno articolate e più saremo in grado di accogliere le infinite sfumature della complessità.
Per la stesura di questo articolo, ho posto il mio sguardo all’intersezione fra due cornici teoriche: la teoria della Psicologia dei costrutti personali, e un testo molto interessante di Marianella Sclavi “Arte di ascoltare e mondi possibili”.
Nashira Laura Andreon
Psicologa Psicoterapeuta
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