Il 25 novembre è la giornata nazionale contro la violenza alle donne.
Riguarda quella violenza che è agita su una donna perché donna, la violenza definita di genere.
Il fatto che ci sia una giornata dedicata a questo fenomeno significa che è ancora molto diffuso, incredibilmente in aumento.
Alcuni dati per riflettere
In Italia una donna su tre tra i 16 e i 70 anni è stata vittima nella sua vita dell’aggressività
di un uomo.
La prima causa di morte per le donne tra i 14 e i 45 anni in Italia, in Europa e nel mondo è la violenza maschile.
Ogni 12 secondi una donna viene colpita da atti di violenza fisica, verbale o psicologica e quotidianamente.
(Fonte D.I.RE donne in rete contro la violenza)
Io sono tua
La violenza sulle donne non c’entra nulla con l’amore. C’entra invece con il possesso e il potere che l’uomo agisce nei confronti di una donna. E questo ha a che vedere con una cultura patriarcale e discriminante ancora molto diffusa nella nostra società.
Una società che popola i programmi tv e le pubblicità di donne belle e svestite, esibite per il loro aspetto, ma confinate in posizioni di contorno, comunica un messaggio preciso alle persone, rispetto al ruolo che in quella società è riservato alla donna.
Tutto questo ci sembra qualcosa di normale e neutro e non gli diamo peso o non ci facciamo troppo caso, ma è invece qualcosa di estremamente significativo, che entra nei nostri significati profondi e ci influenza, uomini e donne o peggio, bambini e bambine.
E quindi la violenza contro le donne non è un fatto privato, ma riguarda tutti noi, è una questione culturale. Un retaggio antico che riceviamo in eredità ma che adesso sta a noi scegliere di non perpetrare, diffondendo invece una cultura di parità tra i generi e di non violenza.
La violenza ha molte forme
Ricordiamoci che ci sono molte forme di violenza, non solo quella fisica, che è più facile da riconoscere. Se in una relazione ci sentiamo svilite, sminuite, limitate, offese, danneggiate, invase, costrette o minacciate, fermiamoci e parliamone con qualcuno, meglio se un centro antiviolenza o il 1522. Anche solo per un confronto telefonico. Può essere un campanello d’allarme da non sottovalutare. Fidiamoci di noi e delle nostre sensazioni.
Da dove iniziare?
Il cambiamento inizia da noi stesse, noi donne, riconoscendo il nostro valore incondizionato e i nostri diritti e insegnandolo ai nostri figli.
Dedicato a tutte le donne,
che si sentono inadeguate nell’essere mogli, lavoratrici, mamme,
che vorrebbero essere più brave, più forti, più belle,
che vedono nelle attenzioni di un uomo un regalo inaspettato,
che non sentono di meritare di essere felici a meno di non essere perfette,
che credono che dare tutte se stesse sia un dovere,
senza tenersi neppure un pezzetto per sé,
che corrono, corrono e ringraziano Dio per ciò che hanno.
Andiamo bene così come siamo,
possiamo darci il permesso di essere felici,
anche se non siamo perfette, perché nessuno lo è e non ce n’è bisogno.
Possiamo ringraziarci per ciò che facciamo e raggiungiamo, perché è merito nostro.
Possiamo gioire dei nostri successi, perché non sono scontati,
ma sono il risultato del nostro sforzo e delle nostre capacità,
e non significa essere presuntuose.
Possiamo chiedere aiuto anche noi se abbiamo bisogno, non c’è nulla di male.
E possiamo chiedere ciò che riteniamo di meritare,
perché fare del nostro meglio sul lavoro ha un valore, anche economico.
Elisa Vezzi
Psicologa e Psicoterapeuta