“Il senso della vita”, ancora un libro da cui non ci si riesce a staccare, perché parla di cose estremamente pertinenti con la vita di ciascuno di noi.
Creature in cerca di significato
Siamo creature in ricerca perenne di significati, che devono venire a patti con il fatto di essere scagliate in un universo che, intrinsecamente, è privo di significato.
Per evitare il nichilismo, gli individui si inventano un progetto che dia significato alla vita e poi dimenticano quest’atto di invenzione e si convincono di non aver inventato, bensì scoperto il progetto che dà significato alla vita.
L’avvio del libro conduce senza preamboli alla riflessione personale.
Quale significato ho scelto di dare alla mia vita?
Ci sono momenti in cui la risposta si mostra, che siano i sogni, dove il linguaggio, per quanto simbolico, è più spontaneo, o i momenti di crisi dove i nostri scopi emergono in tutta la loro preponderanza, quando invece di solito se ne stanno nascosti a condurci nella vita.
La prima storia, Paula, una donna di cinquantacinque anni malata di cancro.
Paula
Ogni settimana eravamo in quattro, non in due, ad incontrarci nel mio studio: io, Paula, la sua morte e la mia.
Mi presentò la mia morte e mi insegnò a pensarci, persino a rendermela amica.
La morte è un evento neutro, cui noi abbiamo imparato ad attribuire il colore della paura.
In che modo il giovane Yalom, nel fiore degli anni, potè essere d’aiuto ad una donna in fase terminale?
Con la sua pura e semplice presenza.
Paula insegna a tutti noi a pensare alla morte e a comprendere cosa prova una persona in fin di vita.
La cosa più dolorosa è il tirarsi indietro degli altri.
Ciascuno muore da solo. Nessuno può morire la nostra morte insieme a noi o per noi.
Ci spiega Yalom che l’isolamento del paziente in fase terminale avviene in due direzioni:
da un lato la persona si allontana dai cari o dagli amici per non trascinarli nella propria angoscia;
dall’altra gli amici evitano, incerti su cosa dire e cosa fare e a disagio con l’idea della morte.
Paula descrive anche la sciocca farsa di chi sta intorno che cerca di occultare l’avvicinarsi della morte.
Quando le cose si mettono male, la mente inizia a negare la gravità della situazione.
Ci si appiglia a dettagli insignificanti che ci rassicurino.
E su quelli facciamo leva per comunicare con gli altri, anch’essi in cerca di speranze.
Il valore delle ultime volte
Molte persone vicine al momento della morte, sperimentano una sorta di età dell’oro.
Ciò che è splendido, insegna Paula, non è il fatto di morire, ma è vivere pienamente la vita dinanzi alla prospettiva della morte.
Pensa alla pregnanza e al valore inestimabile delle ultime volte: l’ultima primavera, l’ultimo volo di un ciuffo di leone, l’ultimo bocciolo di glicine che cade.
La libertà di poter dire di no a tutti gli obblighi triviali e dedicarti interamente a cosa è davvero importante per te.
Insegnamenti tra le pagine
Yalom non perde mai l’occasione tra le pagine di insegnarci qualcosa di importante, che sia una tecnica terapeutica o un posto privilegiato da cui poter osservare intimamente le persone.
L’assunto di base è lavorare sul qui e ora della relazione tra terapeuta e paziente.
Il qui e ora fornisce una sorta di laboratorio, un’arena sicura nella quale il paziente può sperimentare nuovi comportamenti prima di provarli nel mondo esterno.
La terapia è un luogo sicuro dove poter mettere in atto la relazione tra due persone e poterla poi esaminare per raccogliere informazioni sul modo in cui il paziente vive le altre relazioni fuori.
Anche i gatti hanno paura di morire
L’ultima storia è onirica, un viaggio magico nelle “maledizioni” familiari.
Al centro, ancora, il tema della morte.
E un paziente inaspettato, un gatto, alle prese con la sua nona e ultima vita.
Leggendo i libri di Yalom il tema della morte è sempre presente e, pagina dopo pagina, questa cambia aspetto, si trasforma, assume connotazioni meno insidiose e oscure, si fa più familiare.
Un altro dei regali di Irvin D. Yalom.
Elisa Vezzi
Psicologa e Psicoterapeuta