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Una bussola per comprendere gli altri- Conflitto e altri scenari possibili- parte 3

A seguito del primo e secondo articolo su questo tema, ecco alcuni spunti per cambiare lo scenario di un conflitto.

1. La prima regola è non usare le regole in modo rigido; ma allenarsi al pensiero complesso.

Suona paradossale, ma è proprio quest’apertura ad ammettere il paradosso e la pluriesistenza di visioni apparentemente incompatibili che può aprire la strada alla comprensione e al pensiero creativo.
Quando abbiamo a che fare con la complessità, cerchiamo spesso qualche vademecum facile ed efficace che semplifichi il nostro approccio alla situazione che ci sta sfuggendo di mano.
Eppure, le interazioni umane sono un groviglio articolato di emozioni e significati soggettivi che si interfacciano tra loro in modi continuamente mutevoli.
Per questo, non esistono regole assolute che risolvano ogni situazione.
Piuttosto, tutto ciò di cui possiamo essere padroni è unicamente il nostro approccio verso le relazioni umane, il nostro modo di vedere gli altri e l’interazione che stiamo contribuendo a creare, il modo in cui scegliamo di “starci”, di volta in volta.
Possiamo quindi scegliere di usare questi punti in modo rigido, con l’obiettivo di persuadere l’altro della nostra ragione, e vincere lo scontro.
Ma in questo modo non cambieremo nulla, poiché non ci saremo aperti a cambiare noi stessi, se continuiamo a vedere il conflitto come uno scontro tra vincitori e perdenti.
Oppure, possiamo scegliere di vederli come spunti che possono arricchirci, se ci permettiamo di usarli come modi diversi di stare con l’altro, anche in mezzo a un conflitto.
Non per vincere, non per perdere, ma per costruire insieme soluzioni diverse e offrire opportunità ai rapporti di evolvere anche grazie ai dissensi.

2. Riconoscere la cornice è il primo passo per cambiarla.

Ampliare la riflessività e l’autoconsapevolezza è fondamentale per riconoscere lo scenario nel quale siamo immersi e l’interazione che stiamo creando.
Si tratta di allenarsi a divenire sempre più consapevoli, proprio nel qui e ora dell’interazione conflittuale, dei ruoli reciproci che stiamo giocando: quale ruolo sto mettendo in atto in questo momento? Sto agendo da colpevolizzatore- da vittima- da sottomesso- da evitante- ecc?
Non si tratta di auto-etichettarsi, ma solo di osservare i comportamenti che tendo ad agire automaticamente.
Se mi alleno a osservarli, sarò in grado di riconoscerli durante l’interazione stessa, e di darmi la possibilità di cambiare il mio repertorio, contribuendo così a co-creare scenari differenti.
Un utile suggerimento, offerto da Virginia Satir, è quello di usare la caricatura benevola: durante lo scontro, ci si può immaginare in modo caricaturale e autoironico, per favorire la consapevolezza di sé, la solidarietà verso l’altro, e il cambiamento di prospettiva.
Ad esempio, se stiamo entrando nel ruolo del colpevolizzatore, potremmo vederci come ritti, con il braccio teso e il dito puntato, il viso contratto e la gola tesa mentre urliamo.
Se invece stiamo entrando nel ruolo del sottomesso, possiamo vederci come piegati su un ginocchio, con una mano in gesto di richiesta e la voce lamentosa.
Una volta che abbiamo riconosciuto il ruolo che stiamo giocando e il tipo di danza che stiamo creando insieme all’interlocutore, possiamo scegliere di non contribuire a quella danza: non reagire in modo simmetrico né complementare.

3. Usare il corpo come àncora per ascoltarsi e come mezzo per cambiare.

Il nostro corpo è spesso un luogo per noi dimenticato: siamo talmente sommersi dai nostri pensieri che le sensazioni corporee restano lontane dalla nostra consapevolezza.
Questo può essere ancora più accentuato durante uno scontro: il nostro corpo è teso, ma siamo talmente immersi nel piano logico della disputa da non accorgerci di ciò che accade nel corpo- eccetto quando la lotta avviene sul piano fisico.
Tornare al corpo può aiutarci sotto diversi punti di vista:

– Sentire i punti di tensione, le rigidità dei muscoli, la postura che stiamo assumendo, ci aiuta a essere consapevoli di come la nostra visione della situazione si stia traducendo in un preciso atteggiamento corporeo: se ci scopriamo rigidi e sostenuti, ad esempio, potremmo accorgerci più facilmente di come ci stiamo mettendo sulla difensiva o all’attacco.
A quel punto possiamo scegliere di provare a sciogliere le tensioni e lasciare andare le rigidità: questo piccolo aggiustamento potrebbe aiutarci a costruire anche la situazione in modo diverso e a immergerci in uno scenario differente. Quando cambiamo qualcosa a livello corporeo, cambia anche il nostro modo di stare nella situazione.
Possiamo usare il corpo come modo diverso di entrare in relazione: a volte sono sufficienti piccoli aggiustamenti corporei per comunicare anche all’altro la nostra disponibilità ad ascoltarlo.

Se assumiamo una postura rilassata e aperta, di accoglienza, ci verrà più facile sia predisporci in modo diverso, sia favorire un cambiamento reciproco nell’interazione.

4. Non prenderla personalmente.

In un litigio, spesso tendiamo a leggere il comportamento dell’interlocutore come un attacco nei nostri confronti. Potrebbe esserlo, oppure potrebbe trattarsi di un attacco al problema più che a noi.
Ma se proviamo a guardare la situazione in modo diverso, immaginando che il nostro interlocutore, sebbene stia urlando e ci stia attribuendo epiteti poco edificanti, sia soltanto immerso in un immaginario che lui vive in un certo modo e che noi non stiamo capendo bene, questo potrebbe aiutarci a ridimensionare ciò che sta avvenendo: in fin dei conti, siamo tutti un po’ vittime e artefici delle nostre stesse cornici, e il nostro interlocutore non è da meno.
Come suggerisce Marianella Sclavi, potremmo vedere le sue urla come dei tentativi maldestri di dirci qual è il suo problema e come sta vedendo la situazione.
Il suo sfogo è indice della sua debolezza, ma anche della sua umanità.
Se comprendiamo che, in fondo, sta solo vedendo le cose dalla sua cornice, possiamo evitare di prenderla personalmente e cercare di vedere cosa c’è dentro a questa sua cornice, che gli fa leggere la situazione in quel modo.

5. Prendere tempo.

I litigi spesso diventano incalzanti perché entrambe le parti hanno l’urgenza di dover ribattere e “segnare il punto”. Ma in questo modo non ascoltiamo e non capiamo la complessità della situazione, e forniamo soltanto ulteriori motivi all’altro per continuare un pressante botta e risposta.
Prendere tempo a volte è la risposta più efficace: ci permette di lasciar depositare quello che sta avvenendo, di rimetterci in contatto con noi stessi e con le nostre reazioni, di capire come “cambiare il passo” della danza senza essere in balia delle nostre stesse emozioni.
E di solito offre anche all’altro l’opportunità di lasciar “cadere” la sua accusa smorzando l’impeto battagliero e favorendo una diversa lettura dell’interazione in corso.
Il silenzio a volte è un’esperienza di spiazzamento.

6. Passa dalle posizioni agli interessi, esplorando il suo punto di vista.

Come abbiamo suggerito nell’articolo precedente, per uscire in modo creativo dal conflitto è importante abbandonare la lotta su posizioni, e passare all’esplorazione degli interessi sottesi.
Individuare le premesse, gli interessi, le paure, il punto di vista dell’interlocutore permette di comprendere in modo più articolato l’origine del contrasto, nonché di sottolineare la forza degli interessi condivisi favorendo soluzioni più soddisfacenti per tutti.
Per esplorare il suo punto di vista, porgi delle domande rivolte a capire come l’altro vede la situazione, interessati a comprendere in che modo anche lui, nella sua prospettiva, ha “ragione”.
Chiedigli di aiutarti a comprendere meglio il modo in cui vede le cose, qual è il problema per lui, cosa gli fa assumere una certa posizione, e perché non può accettare le nostre proposte.
Questo significa mettersi nella posizione di essere davvero disposti ad ascoltare chi ci sta accusando, e può essere difficile.
Ma se riusciamo a entrare davvero in questa predisposizione, alla fine ne guadagneremo tutti.

7. Usa la parafrasi.

La parafrasi, ovvero il tentativo di riformulare con parole proprie quanto detto dall’interlocutore (“quello che mi pare di cogliere da quanto dici è che ti sei sentito escluso da questa decisione..”), offre almeno due importanti vantaggi:
Permette di verificare se quanto abbiamo compreso è ciò che il nostro interlocutore intendeva effettivamente dire. Questo permette di riaggiustare la nostra comprensione e di andare a fondo nell’analisi della situazione.
– allo stesso tempo fa sentire l’altro ascoltato e favorisce un clima di ascolto e rispetto reciproco.
Con la parafrasi abbiamo la possibilità, insieme, di esplorare il modo in cui l’altro sta vedendo la situazione: stiamo già collaborando a prendere in mano insieme il problema.
Quando sarà il nostro turno, probabilmente anche l’altro sarà disponibile a interessarsi al nostro punto di vista.
Quando usiamo la parafrasi, è importante accogliere le correzioni dell’altro senza aggiungere il nostro punto di vista. Sforziamoci solo di comprendere,almeno inizialmente.

8. Riconosci e legittima le emozioni, sue e tue.

Mentre esplori il suo punto di vista, puoi cercare di cogliere anche quali emozioni sta provando o ha provato in una certa situazione, e puoi legittimarle.
Ad esempio, se riconosci che l’altro si è sentito ignorato in una data situazione, puoi verbalizzarlo, chiedendogli se si è sentito in quel modo.
Questo permette all’altro di sentire che stai cercando di comprendere il modo in cui si è sentito, e allo stesso tempo gli offre occasione di far luce nel proprio vissuto e di fornirti ulteriori spunti per comprenderlo.
Riconoscendo le sue emozioni, puoi sintonizzarti meglio con il modo in cui l’altro vede e sente la situazione, e avrai così una prospettiva più ampia da cui osservare la situazione.
Quando hai davvero fatto lo sforzo di comprendere anche il suo vissuto, puoi aiutarlo a comprendere, reciprocamente, anche il tuo: puoi così riconoscere e legittimare anche le tue emozioni, a patto che l’espressione delle emozioni non si traduca in una contesa fra chi si è sentito più ferito, ma possa proporsi come una reciproca possibilità di comprensione e rispetto.

9. Non aver timore di chiedere scusa.

Saper chiedere scusa non è segno di debolezza, ma del coraggio di assumersi la propria responsabilità, quando riconosciamo di aver contribuito al problema.
Se comprendi che qualche tuo atteggiamento ha ferito l’altro, chiedere scusa è il miglior modo per abbattere le barriere e creare un clima di cooperazione verso la risoluzione del problema.
Significa dare il messaggio all’altro che ti stai assumendo la responsabilità delle tue azioni, e che potete rapportarvi tra persone responsabili, ognuno della parte che mette in campo.

10. Separa la persona dal problema, e distingui l’esca dalle premesse.

Questo è un punto centrale: si tratta di vedere la discussione come un’occasione per affrontare un problema specifico, senza identificare il problema con la persona.
Occupati soltanto del problema di cui si sta discutendo, non attaccare l’altro.
Si può discutere ad esempio di singole azioni, senza che queste diventino un pretesto per giudicare la persona.
Per una trattazione più approfondita di questo punto ti rimandiamo alla lettura dell’articolo precedente.

11. Parla per farti capire.

Dopo aver dedicato abbastanza tempo e autentico impegno nell’esplorare il punto di vista dell’altro, puoi esporre anche la tua prospettiva rispetto alla situazione; ricorda però di conservare anche in questa fase un atteggiamento di apertura affinchè l’espressione dei tuoi bisogni non si ritraduca in un ritorno alla trattativa su posizioni: l’obiettivo autentico in questa fase non dovrebbe essere quello di ottenere concessioni dall’altro (ovvero cercare di “vincere”) , ma di esprimere anche i tuoi bisogni rispetto al problema affinchè entrambi possiate esplorarli e considerarli nella ricerca di nuove soluzioni; l’obiettivo è esplorare tutti gli aspetti del problema per trovare soluzioni vantaggiose per tutti.
Parla dunque per farti comprendere a tua volta, non per avere la meglio.

12. Spostatevi dalla stessa parte del tavolo.

Quando si assume l’ottica del “o vinciamo tutti o nessuno”, il conflitto ha la possibilità di trasformarsi in un processo di reale cooperazione tra le parti, che non solo favorisce l’emergere di soluzioni al problema più soddisfacenti per tutti ma permette anche al rapporto di evolversi e crescere attraverso i dissensi.
Per sederti dalla stessa parte del tavolo del tuo interlocutore, puoi cominciare a guardare il problema prendendo a cuore gli interessi di tutti; così facendo, inviterai indirettamente anche il tuo interlocutore a entrare nello stesso atteggiamento.
Può aiutare in questa fase passare da un linguaggio basato su io/tu a un linguaggio fondato sul “noi”: “come possiamo fare affinchè ci sia una più efficace redistribuzione dei compiti?”
Un altro spunto utile può essere quello di sottolineare i punti di accordo e gli interessi comuni; si può partire da questi per rinegoziare in modo creativo.
E’ importante che la ricerca delle soluzioni sia un processo al quale tutti partecipano:
– questo consente di generare soluzioni condivise; sarà pertanto più facile che le parti rimangano soddisfatte degli accordi, e che essi vengano mantenuti nel tempo.
– La partecipazione condivisa favorisce un modo diverso e più collaborativo di stare nella relazione stessa. Questa è già di per sé la migliore vittoria per tutti.

13. Cercate soluzioni creative, vantaggiose per entrambe le parti.

Spesso in una contesa si cerca la soluzione in una sola dimensione, ovvero la scelta tra due alternative, ognuna delle quali è vantaggiosa per uno e svantaggiosa per l’altro: ad esempio in una trattativa su un prezzo, se esso sale sarà vantaggioso per uno e svantaggioso per l’altro.
Il limite di questo tipo di trattativa sta nell’assumere che la torta sia già data e che non sia possibile espanderla.
R. Fisher e W. Ury riportano questo esempio illustrativo: due sorelle litigano per spartirsi un’arancia e si accordano per dividerla a metà.
La prima mangia la sua metà del frutto e butta via la buccia, la seconda usa la propria buccia per fare una torta e butta via il frutto. Se avessero esplorato prima i reciproci interessi, la prima avrebbe potuto avere l’intero frutto e la seconda l’intera buccia.
La morale è che sia più utile accrescere la torta prima di dividerla: ovvero, pensare a diverse soluzioni alternative prima di attestarsi sulle posizioni finali.
Per inventare soluzioni creative, Fisher e Ury suggeriscono quattro passi:
– Separare l’atto di inventare opzioni da quello di giudicarle (il giudizio prematuro limita la creatività);
– Allargare le opzioni sul tappeto piuttosto che mirare a una sola risposta;
– Cercare il vantaggio di entrambe le parti;
– Inventare modi per facilitare alla controparte le decisioni che deve prendere.

Fattori che rinforzano il conflitto

1. Uso di un linguaggio colpevolizzante.

Una strategia per evitare un linguaggio colpevolizzante è quello di esprimere il modo in cui ci si è sentiti piuttosto che puntare il dito su quello che l’altro ha fatto: ad esempio, meglio dire “mi sono sentito discriminato”, piuttosto che “sei razzista”.
Spostare il focus della comunicazione sui propri vissuti anziché sui comportamenti dell’altro permette di:
– guardare la situazione dall’alto, ammettendo la plausibilità di punti di vista diversi (il fatto che io mi sia sentito discriminato, non implica necessariamente che l’altro abbia cercato di discriminarmi). Si evita così di attribuire intenzioni all’altro sulla base delle proprie emozioni.
– rispettare l’interlocutore e non farlo sentire accusato;
– aprire uno spazio di dialogo basato sull’espressione dei vissuti, anziché sulle recriminazioni.

2. Dare giudizi valoriali su come la persona è invece che su ciò che fa.

Parla di singoli comportamenti, non giudicare la persona nella sua interezza.

3. Usare generalizzazioni.

Evita di generalizzare quanto sta accadendo o di allargare la discussione includendo altre questioni. Evita l’uso di avverbi come “sempre” e “mai” (“fai sempre così”): sono accuse che non aiutano una costruzione diversa del problema e della relazione.

4. Punteggiare lo scambio con sequenze come “Sì, ma…”.

Si tratta della tendenza ad accogliere frettolosamente quanto detto dall’interlocutore per ribatterlo prontamente con altri punti. Quando uno dei due inizia questo genere di danza, anche l’altro tende a seguirlo.
Invece di affrettarti a ribattere, soffermatevi a esplorare quanto già emerso.

Una revisione del conflitto a posteriori

Mentre si è immersi nello scenario del conflitto, può essere talvolta difficile cambiare prospettiva e proporre scenari differenti nel qui e ora dell’interazione.
Per questo, può risultare utile soffermarsi a posteriori a riguardare l’accaduto, osservando il processo dell’interazione e pensando ad alternative possibili.
Questo ci permetterà in future occasioni di conflitto di disporre di una consapevolezza più ampia e di un maggior ventaglio di possibilità.

Si può procedere in questo modo:

1. Osservare la cornice nella quale ero immerso:
Come ho letto la situazione in quel momento? Che significato ho dato al comportamento del mio interlocutore? Quali altri significati potevano esserci? Quali emozioni ho provato? Dove le percepivo nel mio corpo? Quali reazioni ho avuto al suo comportamento? Che parte ho giocato nel conflitto?

2. Comprendere la cornice dell’altro:
Come vedeva la situazione il mio interlocutore? In che modo ciò che affermava era ragionevole per lui? Come ha letto il mio comportamento e le mie reazioni? Quali erano i bisogni, speranze, desideri, timori che la sua posizione soddisfava? Cosa gli permetteva di fare? Cosa gli impediva di accettare le mie proposte?

3. Immaginare altre possibili “mosse” e soluzioni:
Anche a posteriori è possibile provare ad allargare il campo delle opzioni, sia riguardo alle soluzioni del problema, sia riguardo ai comportamenti che avrei potuto mettere in atto in quella situazione per risolvere il conflitto in modo creativo e collaborativo.

4. Immaginare le possibili conseguenze di ogni scelta:
per ogni opzione si può provare a immaginare come sarebbe stata letta dalla controparte e cosa avrebbe potuto accadere.
Questo ci permette di avere una prospettiva più ampia e di anticipare alcuni scenari possibili per situazioni future di conflitto.

5. Verificare cosa accade:
dopo aver dedicato del tempo a ripercorrere mentalmente il processo relazionale intercorso e a immaginare alternative possibili e scenari differenti, si può procedere a verificare cosa accade effettivamente nelle nostre interazioni conflittuali se proviamo a cambiare “passo di danza” e a proporre cambiamenti di scena.

Nashira Laura Andreon

Psicologa Psicoterapeuta

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