I tre giorni a Roma per il congresso Attaccamento e Trauma sono stati molto ricchi di significati e spunti. La 5° edizione del congresso è stata dedicata al tema “Evoluzione umana e guarigione”.
L’evoluzione è un processo in divenire, che accomuna esseri umani e altri esseri viventi.
In questi giorni il fil rouge è rappresentato dal riflettere sugli effetti di traumi precoci sia nell’essere umano che nei primati.
La qualità della relazione precoce di attaccamento che spinge un cucciolo d’uomo o di primate a cercare la prossimità con il caregiver per ricevere cura e conforto, produce effetti a livello neurologico, fisiologico, emotivo, cognitivo e comportamentale.
Gli studi sul trauma e sull’attaccamento ci offrono informazioni e riflessioni importanti per comprendere quale sia il modo più efficace per relazionarsi al paziente traumatizzato e quali siano gli aspetti sui cui focalizzarsi nell’intervento.
Gli 11 relatori presentano i loro studi e le loro esperienze cliniche nell’ambito del trauma complesso, per aiutarci a esplorare gli strumenti che il terapeuta ha a disposizione per favorire la guarigione del paziente.
Louis Cozolino
Il cervello sociale e gli effetti del trauma
Perché si parla di cervello sociale?
Il cervello dell’uomo è un organo sociale; Louis Cozolino mostra come l’encefalo umano si sviluppi nel contesto delle relazioni e come le persone intorno a noi svolgano un ruolo rilevante nel regolare il nostro comportamento emotivo e sociale.
Tutto ciò che è vivo, dalla forma più piccola: i neuroni, alla più grande: persone, gruppi, pianeti, entra in comunicazione con ciò che è vicino.
La mente delle persone è una mente in relazione.
Se ci isoliamo, moriamo.
L’essere umano comunica ed entra in contatto con gli altri individui anche inconsapevolmente. Ad esempio l’occhio umano comunica più informazioni sulla nostra disponibilità ad avvicinarci all’altro.
I nostri sistemi biologici sono a servizio di questa esigenza vitale di connessione.
La capacità di percepirsi nelle mente dell’altro e mantenere l’altro nella nostra mente è qualcosa di indispensabile per la salute mentale.
Il trauma (es. abuso emotivo, fisico, sessuale, abuso di alcol o droghe in famiglia) ostacola questo processo salutare e può compromettere un attaccamento sicuro, l’esperienza di sé e la capacità di legarsi alla mente gruppale, oltre che determinare cambiamenti biologici e neurologici.
L’attaccamento è un sistema di regolazione emotiva attraverso la relazione sociale.
Abbiamo tre sistemi di modulazione delle emozioni:
- Sistema esecutivo – (amigdala) primitivo, ci aiuta a rilevare i pericoli e attivare la giusta risposta di sopravvivenza (lotta fuga)
- Sistema fronto-parietale e ippocampo – ci aiuta a pensare in modo astratto, ad apprendere dalle nostre esperienze e risolvere i problemi
- Default mode network – (strutture mediali di cervello) si attiva quando ci fermiamo da qualche attività, ci rilassiamo, siamo consapevoli di noi stessi, empatici con gli altri, parliamo con un tono più basso e più lentamente, capacità di tenere le persone dentro di sé
Con il trauma il primo sistema è iperattivo e inibisce gli altri due. Le funzioni cognitive sono danneggiate o inibite, il QI è ridotto, si fa fatica a risolvere i problemi, si inibisce la capacità di regolazione emotiva, compassione ed empatia, sintonizzazione, consapevolezza di sé, insight.
Manca uno spazio interno sicuro.
È una mente rumorosa che reagisce continuamente al mondo esterno.
L’emozione della vergogna intrinseca è molto frequente nelle persone traumatizzate. In questo caso la persona si pone in posizione di sottomissione e ritiro, si percepisce in difetto, fondamentalmente sbagliato rispetto agli altri (anche se non ha fatto niente di male) ha paura di esporsi, di essere escluso.
Stephen Suomi
Conseguenze comportamentali, biologiche ed epigenetiche di esperienze precoci di attaccamento sociale nei primati
Stephen Suomi illustra gli studi sull’attaccamento nei primati e ci fa vedere le enormi connessioni presenti tra noi e questi esseri viventi in relazione all’attaccamento.
Come per gli umani, anche per i primati se l’attaccamento si verifica in modo corretto, il cucciolo può iniziare a esplorare lo spazio esterno riducendo mano a mano il tempo passato con la mamma e aumentando man mano il tempo di gioco e interazione con i pari.
Un 10% dei primati viene trascurato e abusato dalle madri.
Questi cuccioli presentano alti livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) e livelli di serotonina più bassi.
A livello comportamentale sono più aggressivi, timidi e ansiosi.
La stessa cosa accade nei cuccioli che sono allevati senza la madre.
Diana Fosha
Il felt sense dell’esistere nel cuore e nella mente dell’altro: il lavoro esperienziale con l’esperienza affettiva ricettiva
Diana Fosha entra nel vivo degli aspetti terapeutici del trattamento con pazienti con traumi da attaccamento. La ascoltiamo con vivo interesse, in particolare durante la visione delle video-registrazioni cliniche tratte da sedute terapeutiche reali.
“La psicoterapia” – esordisce – “ è la guarigione dei legami affettivi”.
Il cuore del lavoro terapeutico della AEDP (uno dei principali approcci finalizzati alla guarigione dei traumi da attaccamento, ideato dalla stessa Fosha) è l’analisi esperienziale dell’esperienza di attaccamento, vissuta nel qui e ora della relazione terapeutica.
Gli elementi cardine del lavoro clinico sono le esperienze affettive ricettive del sentirsi visti, amati o compresi. Il bisogno di sentirsi visti e compresi è un imperativo biologico, come afferma anche Fonagy, ed è la radice della resilienza.
Le esperienze di sentirsi visti, amati, compresi, favoriscono la costruzione nel paziente di una sicurezza in termini di attaccamento e permettono l’emergere del “felt sense dell’esistere nel cuore e nella mente dell’altro”.
Questo è il cuore del cambiamento trasformativo nel processo di guarigione dai traumi da attaccamento.
Dan Hughes
Attaccamento, compagnia e percorso di recupero dai traumi dello sviluppo
Dan Hughes lavora con i bambini che hanno subito dei traumi evolutivi, per lo più legati a incuria o abuso da parte dei genitori.
L’attaccamento sicuro tra bambino e genitore è un elemento protettivo importante nella crescita, perché garantisce:
- conforto
- riparazione
- base sicura e fiducia
In una relazione sicura, bambino e genitore si riconoscono attraverso il rapporto.
La mamma si sente una bella mamma e la bambina si sente di essere speciale.
Come lavorare con pazienti con traumi dello sviluppo?
La prima cosa è creare uno spazio sicuro nello studio e nella relazione, affinché questi bambini sentano di poter esprimere le loro emozioni.
Il Dott. Hughes si dimostra interessato a loro, desideroso di conoscerli, aperto e coinvolto autenticamente, presente, accogliente, non direttivo.
Ciò che passa loro a livello non verbale è molto significativo; sono bambini che dal primo secondo in cui ti vedono, capiscono sei siamo disponibili o no.
Il lavoro terapeutico consiste nell’organizzare insieme la loro biografia, esplorare la loro esperienza
delle cose, dare un nome a ciò che sentono.
La voce del terapeuta è cantilenante, modulata, ritmica che esprime accettazione e accudimento.
È indispensabile rispettare i loro confini e tempi.
Massimo Ammaniti
Gli esiti prossimali e distali dello stress e dei traumi in gravidanza
Già durante la gravidanza si costruisce la relazione tra la madre e il bambino.La madre comincia a immaginarsi come madre e ad avere “in mente” il proprio bambino.
Iniziano anche ad affacciarsi alla mente materna alcuni interrogativi circa le proprie capacità materne (ad esempio: “sono in grado di far vivere e far crescere mio figlio?”).
La comparsa e stabilizzazione del comportamento materno implica anche uno specifico circuito cerebrale. L’amore materno ha un’attivazione cerebrale simile a quella dell’amore romantico.
Ma esiste anche un legame significativo fra lo stress prenatale e gli esiti infantili successivi.
Lo stress prenatale (che può dipendere da diversi fattori di tipo personale, familiare, sociale ed economico) e la presenza di traumi in gravidanza si associano:
- parti prematuri
- condizioni di sottopeso nei neonati
- maggiore attivazione del cervello frontale destro nel neonato
- problemi socio-emozionali nell’infanzia (come ADHD, sintomi ansiosi e problemi esternalizzanti)
- aumento di cortisolo fetale
- ridotta competenza cognitiva nei primi due anni di vita
Un fattore rilevante sembra essere il periodo di esposizione allo stress in gravidanza: nel primo trimestre in particolare lo stress si associa a un maggior rischio di ADHD nel nascituro.
Robin Shapiro
Attenzione duale, affetto, relazioni interpersonali e significato: gli aspetti fondamentali del Trattamento dei Traumi
Con Robin Shapiro seguiamo appassionate un’affascinante analisi trasversale degli aspetti fondamentali del trattamento del trauma nei vari approcci terapeutici.
Il primo e più importante elemento che contraddistingue qualsiasi buon intervento terapeutico nel trattamento del trauma è la centralità della relazione terapeutica: essa, senza alcun dubbio, è più importante e curativa di qualsiasi tecnica specifica.
Nella stanza della terapia e attraverso la relazione, si lavora su diversi elementi centrali:
- la consapevolezza nel presente, ovvero la consapevolezza di essere qui e ora, e al sicuro. Tale ancoraggio al presente e senso di sicurezza è ciò che consente di poter elaborare l’esperienza traumatica passata (attenzione duale al passato e al presente), senza perdervisi.
- elaborazione di pensieri, sensazioni e emozioni. Lo spazio protetto della terapia favorisce la possibilità di restare in contatto con tutto lo spettro delle emozioni, imparando a “starci”, a essere presenti, a tollerarle. Sentire le emozioni fino in fondo, all’interno di una relazione fondata sull’accettazione, consente la guarigione.
- L’ultima parte è l’attribuzione di significato al trauma e la consapevolezza che esso sia finito. Su questo piano si lavora sia a livello mentale che corporeo.
Janina Fisher
Lavorare con i Sé frammentati dei sopravvissuti al trauma
Anche Janina Fischer ci affascina con un interessante contributo sul lavoro terapeutico con i Sè frammentati dei sopravvissuti al trauma.
Si parte dal presupposto che tutti noi abbiamo uno specifico stile di attaccamento interiore con noi stessi, che riflette il pattern di attaccamento sviluppatosi nelle prime relazioni infantili: se è un attaccamento sicuro, ci accogliamo e perdoniamo; se è evitante, ambivalente o disorganizzato, ci saranno diverse difficoltà nell’accogliere se stessi.
Nei casi di abuso o trascuratezza, i bambini hanno bisogno di mantenere un legame di attaccamento nei confronti dei caregiver violenti, e la strategia di sopravvivenza diventa l’alienazione da se stessi: si rinnegano in quanto “cattivi” e “non amabili”.
Questo fallimento dell’auto-accettazione genera vergogna e odio verso se stessi, e lotte interne tra parti della personalità dissociate.
Il perno del lavoro terapeutico si concentra nel favorire nei clienti la capacità di auto–osservazione mindful, imparando a riconoscere e accogliere le parti interiori rinnegate (i “bambini interiori feriti”).
La guarigione – secondo questo approccio – è il risultato di una connessione compassionevole tra la parte adulta, curiosa, calma e connessa, e le parti bambine, che sono state ferite.
Facendo amicizia con i propri “bambini feriti”, i clienti cominciano a sviluppare un attaccamento sicuro con i propri sé rinnegati, che modifica l’esperienza interna.
Daniel Siegel
La scienza della consapevolezza e il futuro della psicoterapia
Daniel Siegel descrive il trauma come un evento o esperienza che soverchia la nostra capacità di rispondere in modo efficace.
Esso può avere due diverse evoluzioni: una crescita evolutiva oppure un disturbo post-traumatico da stress (PTSD). In questo caso Siegel lo definisce trauma irrisolto.
L’attaccamento sicuro soddisfa tre bisogni fondamentali:
- essere visto nei propri bisogni dal genitore, essere nella mente dell’altro
- essere consolato se si è in stato di stress o paura; il genitore entra in risonanza con il bambino e lo aiuta a tornare calmo (questa capacità viene poi interiorizzata e diventa autonoma)
- essere al sicuro se c’è un pericolo; il genitore protegge
Il trauma evolutivo nasce in presenza di abusi o trascuratezza da parte dei genitori.
La fonte di consolazione e protezione diventa causa del terrore, del trauma.
In questi casi l’attaccamento fallisce tutte e 3 le sue funzioni.
A medio e lungo termine, un trauma precoce può determinare condizioni mediche avverse ed essere anche la causa di una morte precoce. Questo perché influisce negativamente sui fattori epigenetici che producono vulnerabilità, problemi cardiovascolari, cancro, indebolimento del sistema immunitario.
Un trauma irrisolto può compromettere la capacità di integrazione nel cervello dell’evento traumatico e quindi la possibilità di superarlo. Il trauma infatti offende le aree cerebrali deputate alla funzione integrativa: corpo calloso, ippocampo, corteccia prefrontale, tronco encefalico.
Siegel introduce quindi il tema della Mindfulness (rimandiamo ad altri articoli se voleste approfondire questo metodo).
La pratica di Mindfulness favorisce uno stato di integrazione e consapevolezza che agisce in modo positivo su corpo calloso, ippocampo, corteccia prefrontale, connectomi, proprio le aree implicate nel trauma.
Bessel Van Der Kolk
Il trauma, il corpo e la psicoterapia
Bessel Van Der Kolk offre una nuova angolatura che amplia ulteriormente la prospettiva dell’approccio terapeutico con persone traumatizzate, enfatizzando l’importanza di un lavoro clinico che includa anche gli aspetti somatici del corpo.
Traumi, abusi e trascuratezza infatti incidono in modo significativo sullo sviluppo cerebrale e si manifestano a livello somatico con un costante stato di arousal e l’alterazione di alcune importanti funzionalità (es. problemi di sonno, alimentazione).
Poiché le tracce del trauma sono immagazzinate nelle aree sottocorticali e sono separate dalla rievocazione verbale (quando le persone traumatizzate rivivono il trauma si disattiva il lobo prefrontale e l’area cerebrale connessa al linguaggio), si rende necessario accedere alla parte più primitiva – emotiva del cervello: il sistema limbico, lavorando con l’esperienza somatica di sensazioni ed emozioni connesse al trauma.
Ecco che allora assumono un ruolo centrale nel trattamento del trauma le terapie orientate al corpo, il neurofeedback, l’EMDR, il potenziamento della capacità auto-osservativa e di auto- compassione attraverso la mindfulness, ma anche l’integrazione parallela di “terapie alternative” che favoriscano la sintonizzazione corporea, come lo yoga, il teatro, le arti marziali e il tango.
Pat Ogden
Una comunicazione cervello-corpo, corpo corpo: la natura interpersonale della vergogna
Pat Ogden, creatrice della psicoterapia sensomotoria, parla della vergogna; un’emozione interpersonale dolorosa che si sviluppa inizialmente nella relazione con le figure di attaccamento.
Il percepire disapprovazione, umiliazione, ridicolizzazione, disprezzo dai caregiver influisce profondamente sul senso di sé, sul corpo, le emozioni, i pensieri e l’autostima.
Come si sperimenta la vergogna?
Con un senso di essere esclusi, perdiamo la connessione, ci chiudiamo. Il corpo risponde arrossendo, mordendosi le labbra, incurvandosi.
In genere desideriamo nascondere quelle parti di noi di cui ci vergogniamo e che pensiamo possano essere rifiutate o umiliate. Se però non lavoriamo su queste parti in terapia, questa diventa inefficace.
P. Ogden mostra alcuni interessanti video di sedute terapeutiche con pazienti con cui utilizza la voce, ma anche elementi non verbali e paraverbali, come la prosodia, il contatto fisico.
Perché le prime esperienze di vergogna si verificano tra infante e genitore, soprattutto veicolate dalla comunicazione non verbale e per riparare queste ferite, è necessario accedere a spazi interiori antichi mediante percorsi non esclusivamente cognitivi.
Nei video Ogden utilizza il lavoro sulla postura come strumento per nutrire le risorse del paziente.
Il corpo è il luogo dove creare risorse.
La relazione è il luogo dove curare la vergogna.
Attraverso la relazione è possibile accompagnare il paziente a elaborare il trauma, restando ben connessi ad uno spazio del qui e ora sicuro, dove c’è il terapeuta.
Kathy Steele
Una pecora travestita da lupo: rabbia, sadismo ed enactment aggressivi nel trattamento del trauma complesso
K. Steele affronta il tema complesso del lavoro terapeutico con pazienti che hanno subito gravi traumi interpersonali (abuso profondo o sadico).
In queste persone l’organizzazione interiore include spesso rappresentazioni mentali non integrate, stati dell’Io e parti dissociate contenenti rabbia e tendenze sadiche.
Le vittime di gravi maltrattamenti sviluppano naturalmente una tendenza alla rabbia e al sadismo.
Spesso queste parti restano dissociate dalla consapevolezza del paziente e invisibili al terapeuta, impedendo così alla terapia di evolvere.
Il cervello traumatizzato può avere compromissioni nelle seguenti funzioni:
- capacità di provare compassione
- gestione e regolazione di emozioni e impulsi
- problem solving
- capacità di riflessione e assumere prospettive diverse
Altre volte queste parti sadiche e rabbiose possono essere agite all’esterno anche nei confronti del terapeuta causando in lui/lei varie reazioni controtransferali, tra cui paura, frustrazione, disgusto, confusione, negazione, isolamento, rabbia, impotenza.
Come gestire questo controtransfert?
- accettare con autocompassione la propria rabbia e impulsi aggressivi e gestirli
- aiutare il paziente ad accettare la sua rabbia, impulsi aggressivi e tendenze sadiche
- imparare a tollerare gli affetti negativi da parte del paziente
- porre limiti ai comportamenti aggressivi (minacce, agiti, ecc) perché la prima condizione perché la relazione sia terapeutica, è che sia paziente che terapeuta siano al sicuro.
Se però il terapeuta sente di non riuscire a gestire la terapia, perché lo porta fuori dalla propria soglia di tolleranza, anche dopo aver percorso la via della supervisione o della terapia personale, è bene che indirizzi il paziente a un altro terapeuta.
È importante valutare bene, in fase di assessment, l’opportunità o meno di lavorare con un certo paziente.
In particolare va esplorata la capacità della persona di controllare gli impulsi, la precedente storia di violenza o atti offensivi agiti, il motivo per cui sono finite le precedenti terapie, il controtransfert.
Il sadismo può essere presente nei pazienti che hanno subito gravi traumi relazionali.
Può essere un tratto di personalità stabile oppure uno stato legato a qualche condizione straordinaria.
Nel primo caso è assente il rimorso o la vergogna per gli atti agiti.
Qui la prognosi è meno favorevole e il percorso in studio privato meno indicato.
Il paziente sadico “potenzialmente trattabile” possiede parti sadiche e parti più adattive, socialmente coinvolte, motivate a cambiare, in grado di provare rimorso ed empatia.
Elisa Vezzi e Nashira Laura Andreon
Psicologhe e Psicoterapeute
Congresso organizzato da ISC International