Uno degli aspetti più importanti della pratica di Mindfulness consiste nel dedicarsi ad essa con un impegno costante e regolare nel tempo.
Il suggerimento che viene dato in tutti i corsi di Mindfulness è quello di praticare, possibilmente, ogni giorno, anche se solo per una decina di minuti.
Un’indicazione che può suonare rigida e restrittiva, ma il cui senso è rintracciabile nella fiducia che si ripone
verso l’utilità della pratica: la consapevolezza è una qualità potenzialmente presente in ciascuno di noi che può essere rinforzata attraverso un allenamento costante; più ci si allena a essere presenti, più la consapevolezza cresce nel tempo.
E l’esperienza stessa è la più forte conferma di questo semplice meccanismo.
Tuttavia, proprio la costanza della pratica si configura fin dall’inizio dell’allenamento come uno degli scogli più difficili da superare per la quasi totalità dei praticanti; uno scoglio che spesso si ripresenta più e più volte, ciclicamente, anche nel corso degli anni, persino nei meditanti più esperti.
Raccogliamo molte testimonianze di questa difficoltà nei nostri corsi, e la nostra stessa esperienza è costellata di tanto in tanto di momenti in cui l’impegno vacilla.
Ma in quali forme si presenta questa resistenza alla pratica?
Vediamo i modi più comuni in cui la nostra mente si racconta che non possiamo meditare:
1. Non ho tempo.
Nella società occidentale questo sembra essere l’ostacolo alla pratica che va per la maggiore.
Abbiamo vite troppo impegnate e frenetiche per poterci fermare anche solo pochi minuti al giorno… ma è davvero così?
Se l’indicazione ideale è quella di praticare 20 o 30 minuti al giorno, è anche vero che piuttosto che praticare saltuariamente o rinunciare del tutto, è preferibile ridurre la durata della sessione: meglio meditare anche solo 5-10 minuti al giorno tutti i giorni, piuttosto che mezz’ora una volta alla settimana.
Ci sono alcuni giorni in cui non abbiamo nemmeno 5 minuti? Bene, facciamola per tre minuti.
Può aiutarci impostare un timer che suoni dopo i minuti prestabiliti: così potremo dedicarci interamente alla meditazione senza sentirci assillati dall’idea del tempo che ci sfugge di mano.
Più avanti, quando avremo acquisito l’abitudine di inserire la mindfulness nella nostra routine, potremo aumentare la durata delle nostre sessioni giornaliere.
2. Non ho uno spazio in cui potermi raccogliere.
La Mindfulness non richiede spazi o attrezzature speciali: è sufficiente poter sedere su un cuscino o su una sedia, eliminare le possibili fonti di distrazioni (spegnere o silenziare il cellulare, spegnere la televisione o il pc), chiedere gentilmente a chi abita con noi di non disturbarci per una decina di minuti. Nulla di più.
Per aiutarci, può essere utile scegliere un posto specifico della nostra casa in cui dedicarci alla pratica: può essere anche un angolo della nostra stanza o del salotto che ci fa sentire a nostro agio, qualunque posto va bene, e una volta che lo abbiamo scelto possiamo riconoscerlo come un luogo in cui poter tornare a noi stessi.
Sapere che “quello” è il posto della nostra pratica, sarà già un sostegno per il nostro allenamento alla consapevolezza.
3. Ci sono troppo distrazioni, troppi rumori.
Poter meditare in un luogo silenzioso e solitario immerso nella natura sarebbe una situazione quasi idilliaca.
Eppure, anche nel più piacevole sito naturale troveremmo fonti di “distrazioni” per la nostra pratica.
D’altra parte, viviamo in un mondo fatto di suoni e rumori, più o meno piacevoli o disturbanti.
Praticare Mindfulness significa semplicemente prestare attenzione all’esperienza così com’è, permetterci di rimanere in contatto con la vita: se ci sono dei rumori, possiamo semplicemente esserne consapevoli, li notiamo senza lasciarci portare via dalle storie che potremmo raccontarci su quei suoni.
4. Mantenere la posizione seduta troppo a lungo mi provoca dolore.
Mantenere una postura stabile è un supporto prezioso per la nostra consapevolezza, tuttavia è anche importante essere gentili con il proprio corpo.
Se avvertiamo dolore o tensioni, possiamo permetterci di sentirli pienamente anche solo per un minuto, portando loro tutta la nostra consapevolezza; dopodiché possiamo ascoltare i bisogni del nostro corpo e cambiare posizione, scegliendone una che supporti la pratica facendoci sentire comodi e presenti allo stesso tempo: ad esempio, potremmo sederci sulla sedia invece che sul cuscino.
Possiamo anche spezzare la sessione di meditazione seduta alternandola con qualche minuto di meditazione camminata da svolgere in consapevolezza.
5. Non riesco a smettere di pensare, non riesco a rilassarmi.
La maggioranza delle persone che iniziano un training di Mindfulness sperimentano frustrazione quando le loro aspettative di “liberare la mente”, rilassarsi o raggiungere una condizione meditativa particolare vengono disattese.
Questa delusione è piuttosto comune, così come l’esperienza di ritrovarsi coinvolti in milioni di pensieri mentre si medita è assolutamente normale.
Così, quando ci fermiamo a osservare la mente, abbiamo l’impressione di essere invasi dai nostri stessi pensieri.
In realtà tutto quello che sta accadendo è semplicemente che ce ne stiamo accorgendo, forse per la prima volta. Bene, è il segnale che siamo consapevoli.
Ti invitiamo ad approfondire questo aspetto importante della pratica in questo articolo.
6. Non sono capace.
In realtà è impossibile fallire quando si medita.
Meditare significa allenarsi a essere consapevoli dell’esperienza che si svolge in quel momento, qualunque essa sia: se l’esperienza è quella di essere pieni di pensieri, va bene così.
Nel momento stesso in cui ti accorgi che sei coinvolto dai pensieri, ecco in quel momento stai già osservando l’attività della tua mente, invece di esserne completamente immerso.
La consapevolezza si colloca lungo un continuum che va dalla completa distrazione alla completa presenza mentale, ma tra questi due estremi ci sono moltissimi punti intermedi.
Se durante una sessione di mindfulness, ti “risvegli” anche solo per un istante alla tua esperienza interiore, osservando i tuoi pensieri come se fossero nuvole che passano nel cielo, e riporti l’attenzione al respiro, al tuo corpo o a ciò che è presente in quel momento, la seduta di mindfulness è già riuscita.
Basta anche solo quel singolo attimo per rendere una pratica di mezz’ora utile.
Ricordiamoci inoltre che è un allenamento: ci stiamo allenando a essere consapevoli, non abbiamo la pretesa di diventarlo immediamente e totalmente.
Peraltro, è praticamente impossibile raggiungere una consapevolezza al 100% in ogni momento della vita.
Possiamo essere clementi con noi stessi e ricordarci che siamo umani.
Godiamoci semplicemente la nostra pratica.
7. Non riesco a sperimentare i benefici.
A volte si potrebbero sperimentare i primi benefici della Mindfulness nel giro di poche sessioni, altre volte potrebbero volerci settimane, mesi, anni.
Per questo è necessario un atto di fiducia: se non demordiamo e continuiamo ad allenarci con costanza, coltivando la consapevolezza ogni giorno, prima o poi la nostra pianta darà i suoi frutti.
Non sappiamo quando, ma sappiamo che accadrà, a patto di continuare a coltivarla.
Se ci attacchiamo ai risultati però, cercando di raggiungere qualcosa di diverso da quello che stiamo sperimentando, ci allontaniamo dalla pratica: la pratica è stare con quello che c’è in quel preciso momento.
Se ci sforziamo di arrivare da qualche parte, ci allontaniamo dal momento presente e creiamo una tensione nella nostra esperienza. Fidiamoci, lasciamo andare le aspettative, e andiamo avanti con pazienza.
Come abbiamo visto, i modi per dirci che non possiamo o non riusciamo a meditare possono essere tanti, ma in fin dei conti nessuna di queste motivazioni è di per sé un reale impedimento alla pratica…
Ma allora a cosa ci serve dircelo?
Cosa stiamo cercando di evitare?
Quando ci sediamo a meditare, dando il permesso al nostro corpo e alla nostra mente di poter riposare per qualche minuto, senza dover fare nulla, senza aver l’obbligo di pensare a qualcosa, quello che accade è che ci troviamo nel giro di pochissimi minuti sommersi da una valanga di pensieri.
Nulla di più normale.
Quello che succede è che la mente umana, quando viene lasciata libera e senza l’indicazione di dover pensare, si trova completamente spaesata.
La mente fatica a essere quieta, è stata abituata per tutta la vita a tenersi impegnata, a doversi occupare di qualcosa o sistemare qualcosa. Senza alcun compito, si sente persa, e ha bisogno di tornare a riempirsi.
La nostra mente corre, o verso qualcosa o via da qualcosa, ma comunque corre.
Questo processo che riguarda la natura della mente umana si riflette anche nel modo in cui viviamo.
Siamo continuamente indaffarati, incessantemente alla ricerca di qualcosa, o in fuga da qualcosa.
Quando soffriamo cerchiamo di tenerci impegnati, di consolarci, di distrarci dal dolore, di coccolarci: qualunque cosa va bene pur di non stare in contatto con il nostro dolore; sembra qualcosa di intollerabile per noi.
Quando stiamo bene, siamo comunque alla ricerca di qualcos’altro, continuamente insoddisfatti, perennemente alla ricerca di qualcosa in più, un piacere nuovo, un successo, un desiderio.
Di fatto, cerchiamo sempre qualcosa di diverso da ciò che stiamo sperimentando, o cerchiamo di essere persone diverse.
Stare semplicemente con la nostra esperienza ordinaria è qualcosa di molto noioso per noi.
Così, anche la quiete e il silenzio ci annoiano. E abbiamo bisogno di riempirci.
Ma quello che accade è che per quanto corriamo, non riusciamo a liberarci del dolore: viene comunque con noi, anche se cerchiamo di non ascoltarlo.
Tanto vale allora dargli retta, forse ha qualcosa di importante da dirci.
Se ci fermiamo ad ascoltarlo davvero, pienamente, senza cercare di aggiustarlo o sistemarlo, potremmo scoprire persino qualcosa di interessante.
Se ci permettiamo di sentirlo totalmente, accogliendolo, potrebbe addirittura non essere più un problema: è la nostra esperienza in quel momento, nient’altro.
La nostra esperienza è semplicemente così com’è, in ogni momento. E’ il tentativo di fuggire da essa che ci fa soffrire.
Questo è quello che c’è, tanto vale permetterci di sentirlo, permetterci di vivere, invece che di correre altrove.
E proprio questa è l’essenza della mindfulness: permettersi di restare in contatto con l’esperienza in ogni momento, così com’è, qualunque essa sia; senza avere il bisogno di aggiustare l’esperienza, di attaccarci sopra pensieri che ci allontanano dal sentire immediato.
In fondo, non è l’esperienza in sé a farci soffrire, ma i pensieri che ci costruiamo sopra.
Quando ci limitiamo a osservarli, senza dar loro nuova energia, scompaiono; e rimane la vita così com’è.
Anche il nostro approccio alla mindfulness potrebbe riflettere questa continua rincorsa verso qualcosa: cercare di raggiungere degli obiettivi, di liberare la mente, di diventare persone migliori, è in realtà un controsenso dal punto di vista della pratica.
Non cerchiamo di essere diversi, cerchiamo anzi di incontrare noi stessi.
C’è una persona che ci aspetta da sempre, che attende un incontro profondo con noi.
Quella persona siamo noi stessi.
Cosa possiamo fare per aiutare la pratica?
1. Ricontatta ogni giorno la tua motivazione più profonda.
Come diciamo ad ogni corso, la motivazione è fondamentale per sostenere l’impegno.
Senza una motivazione ben radicata, la nostra pratica rimane fragile e ben presto la abbandoneremo.
Se abbiamo deciso di seguire un training di Mindfulness, probabilmente c’è qualcosa di profondo che ci porta verso questo percorso di consapevolezza. Cos’è?
Perché vogliamo impegnarci in questa pratica?
Richiamare ogni giorno la nostra motivazione personale ci offre la spinta ad andare avanti.
Quando abbiamo deciso che per noi è una cosa importante, facciamola e basta.
2. Osserva cosa c’è nella tua mente quando ti dici che oggi non puoi meditare.
Nel momento in cui scegli di rinunciare alla seduta giornaliera, c’è un piccolo pensiero che si affaccia silenziosamente alla tua mente.
A volte si insinua così velatamente da indurti a rinunciare senza saperne il motivo.
Proprio quel preciso momento in cui si affaccia quel pensiero, è l’occasione di meditare: se osservi cosa scatta nella mente quando ti dici che non vuoi meditare, qual è il punto da cui parte quel pensiero, quali sensazioni fisiche ed emozioni ci sono in quel momento, stai già meditando.
Se osservi questo pensiero ogni giorno, avrai già modo di capire qualcosa di importante su te stesso, e il pensiero perderà energia; forse, potrebbe riflettere un meccanismo presente in altre situazioni, quando ci rifiutiamo di fare qualcosa che sappiamo ci farebbe bene.
Puoi osservarlo, e ricordarti che anche questo è un pensiero: non sei costretto a seguirlo, rinunciando alla pratica. Osserva e lascialo andare. E poi siediti in meditazione.
3. Nota i tuoi giudizi sulla pratica, mentre stai meditando.
Quando sei seduto a meditare, osserva se ci sono pensieri o giudizi che riguardano la pratica.
Potresti scoprirti a dire “Non ci riesco!”, “Sono troppo teso”, “non sto meditando bene”, “sto solo perdendo il mio tempo”, “la meditazione non fa per me” o qualsiasi altra cosa.
Puoi notare questi pensieri e accorgerti che sono appunto “pensieri”… non verità assoluta!
Anche in questo caso, osservare i pensieri e giudizi sulla propria pratica significa già meditare, ed è molto utile per osservare anche l’atteggiamento che abbiamo verso noi stessi.
Non hai bisogno di credere alla tua mente quando ti dice che la tua pratica è buona o cattiva. E’ solo la pratica.
4. Coltiva il senso di auto-compassione, durante la meditazione.
Ricordati che sei un essere umano, e la natura della mente è quella di essere instabile e inquieta.
Se così non fosse, non avremmo nemmeno bisogno di allenare la nostra consapevolezza.
5. Considera che ogni volta che riporti l’attenzione al respiro, stai meditando.
Ogni volta che l’attenzione torna al respiro, stai tornando in contatto con il momento presente, con la realtà piuttosto che con il contenuto dei tuoi pensieri.
Ogni volta che torni al momento presente, stai allenando la consapevolezza.
6. Ridimensiona la durata delle sedute, scegliendo un programma che è realistico per te.
Puoi iniziare anche solo con 5 minuti al giorno.
E nei giorni in cui la mente è convinta di non avere nemmeno 5 minuti, fai 1 minuto, o anche solo 3 respiri in piena consapevolezza.
Non importa quanto sia lunga o corta la sessione, l’importante è praticare ogni giorno.
7. Stabilisci un impegno nel lungo termine.
Prima di decidere di rinunciare al tuo allenamento di consapevolezza, stabilisci un certo periodo di tempo durante il quale ti impegnerai a praticare ogni giorno.
Come per ogni allenamento, occorre tempo e pratica costante perché tu possa scoprirne gli effetti.
L’ideale sarebbe impegnarsi un anno in modo costante, ma potresti scegliere anche di dedicarti per un mese intero, a patto di praticare tutti i giorni.
8. Verifica se le tue aspettative sulla pratica sono realistiche.
Per questo punto ti rimandiamo all’articolo “Superare gli ostacoli nella pratica di Mindfulness“.
9. Fidati e agisci!
Occorre un atto di fiducia verso la pratica, che ci sostenga per un periodo sufficientemente lungo fino a quando avremo sperimentato in prima persona i suoi benefici. Fino a quel momento, bisogna fidarsi e andare avanti.
Bisogna farla, e basta.
Scarica il pdf gratuito.
Non riesco a praicare Mindfulness! Come affrontare le resistenze alla pratica.
Salve, vi faccio i miei complimenti per l’articolo estremamente, ricco di spunti ma altrettanto semplice da capire. Mi ha motivato non poco perché mi sentivo perso nella mia disperazione nel non riuscire a trovare alcun beneficio con la meditazione. Complimenti ancora, è evidente che chi ha scritto è una persona saggia. Ho solo una domanda però, alla quale ricevo risposte contrastanti tra loro. Perché tutti insistono nel meditare con la schiena dritta? Io non ho nessun problema a farlo ma che succederebbe ad esempio se meditassi su una comoda poltrona a gambe incrociate? Anzi vi confesso che una mia amica ha raggiunto notevoli benefici proprio meditando su una poltrona con la schiena appoggiata. Vi ringrazio in anticipo per la risposta ed ancora complimenti per l’articolo.
Ogni bene
Luciano
Buongiorno Luciano,
grazie per l’apprezzamento, sono contenta le abbia ridato motivazione.
Per quanto riguarda la postura, è effettivamente un aspetto importante della pratica.
Una postura con la schiena dritta (ma non rigida), dignitosa, con le spalle aperte e rilassate, sia nel caso ci si sieda su un cuscino a terra sia su una sedia, è considerato un elemento che facilita la pratica.
Innanzitutto perchè favorisce il restare svegli, lucidi e presenti, al contrario di una postura troppo comoda che potrebbe favorire il sonno o anche farci dimenticare perchè siamo lì seduti. L’intenzione è infatti quella di rimanere presenti all’esperienza, e il corpo in questo ci può aiutare.
Corpo e mente non sono separati e si influenzano a vicenda, anche nella pratica. La mente può essere “sostenuta” nella sua intenzione dal corpo e dalla postura, altrettanto quanto la mente a sua volta influenza la postura: quando la mente è irrequieta per esempio, è facile che questa si rifletta in un’irrequietezza del corpo.. iniziamo a grattarci, muoverci.. Osservare anche l’impulso a muoversi può essere un’interessante esplorazione di cosa sta accadendo: è il corpo a aver bisogno di cambiare postura o è la mente che non ha voglia di “stare”?
La schiena dritta e autosostenuta non deve comunque significare rigidità, semplicemente espriamo con la postura la nostra naturale dignità e solidità.
E’ importante infatti che la postura sia al contempo anche sufficientemente comoda, non deve essere un peso.
Si possono fare alcuni assestamenti all’inizio della sessione in modo da trovare un buon equilibrio nel corpo, tra allungamento e comodità.
Fatta questa premessa, è anche vero che potenzialmente potremmo praticare in qualunque momento della nostra giornata e dunque in qualunque posizione; ma quando si tratta di allenare la mente con una sessione dedicata, allora la postura può favorire o viceversa ostacolare la nostra presenza.
Nulla ci vieta in ogni caso di poter anche allungare una gamba a un certo punto della seduta se iniziano a farci male le gambe, o a cambiare posizione, basta farlo in consapevolezza.
Spero di aver risposto.
Ogni bene a lei!
Saluti,
Nashira Andreon