Scrivo questo articolo in particolare per tutti coloro che hanno iniziato da poco il loro percorso di allenamento alla consapevolezza e per chiunque senta la necessità di osservare il proprio approccio alla pratica, trovandolo poco rilassato.
Il vuoto mentale
Nei corsi notiamo spesso che le persone tendono a pensare che meditare significhi svuotare la mente, raggiungere uno stato mentale e fisico particolare, rilassato, calmo.
Questo è del tutto lontano dalla verità.
Quello che accade è che appena una persona inizia il training di Mindfulness comincia a sviluppare un’aspettativa sottile e inconsapevole di dover raggiungere una speciale condizione meditativa, dove i pensieri disturbanti non compaiono più e le sensazioni sono piacevoli e neutre.
Ebbene sgomberiamo la mente da questa credenza infondata e pericolosa che rischia, se non la sveliamo in tempo, di farci abbandonare il nostro intento perché non riusciamo, naturalmente, a realizzare l’agognato vuoto mentale.
Scoprire in noi le aspettative
Forse mentre state leggendo vi potreste trovare a dialogare interiormente per verificare se è presente o meno in voi questa posizione.
Ma vi invito a fare attenzione perché la mente è molto scaltra e quando si rende conto di essere sotto esame, cerca di dare il meglio di sé e fare la parte della prima della classe. Quindi potreste trovarvi a pensare: “Non è il mio caso.” Bene, potrebbe essere davvero così, ma vi suggerisco di osservare la mente nei momenti in cui è meno se lo aspetta dove potete vedere davvero che panorama di attese nasconda.
Niente di più comune il fatto di avere delle aspettative e come scopro ad ogni classe di meditazione di più, alcune credenze fanno parte di un patrimonio mentale comune, collettivo che si è trasmesso attraverso la cultura a ciascuno di noi.
Come si può identificare un’aspettativa irrealistica nella nostra pratica?
Lo notiamo quando al termine o durante la meditazione, ci troviamo a dire o pensare: “Sta andando male”, “ho troppi pensieri”, “non riesco a meditare, sono nervoso”, “non sono riuscito a rilassarmi” oppure sentiamo che qualcosa non sta andando come dovrebbe, perché magari ci distraiamo ogni 2 secondi oppure sentiamo la mente confusa e appannata.
Ebbene questo è niente di più normale. Questo non è il segnale che il processo meditativo non sta funzionando o che noi stiamo sbagliando qualcosa. Quello che ci interessa è la reazione che abbiamo. Quella ci illumina rispetto alle nostre reali intenzioni.
Essere consapevoli di ciò che è
La Mindfulness è semplicemente essere consapevoli di quello che c’è, che può essere anche caos, confusione, agitazione, sonno, noia, giudizio, dubbio. E di fronte a questi contenuti mentali ed emotivi, il praticante rimane in osservazione. Non si lascia trasportare via dal suo proposito di rimanere seduto. Si ricorda di essere paziente nel lavorare con la propria mente instabile. Sa che tutto è transitorio e non si attacca all’idea di come dovrebbe essere.
Credo che sia più semplice sedere a meditare se sappiamo di poter essere gentili con noi stessi, con tutto il disordine che preme e noi che ci affanniamo a ripararlo.
Va tutto bene. Non c’è nulla che non vada in noi.
Proprio oggi, in un momento in cui “va di moda” tutto ciò che è di derivazione orientale, dalle pratiche yoga a quelle meditative, è utile esplicitare che quando parliamo di mindfulness parliamo anche di un’abilità meditativa, ma non solamente. Applicata alla psicoterapia, la mindfulness è uno strumento potente di cambiamento, che passa per l’accettazione. Non pretende di avere radici culturali millenarie, è uno strumento, che un medico e tanti altri dopo di lui, tra medici e psicologi, hanno sperimentato, vedendo che aveva una grande utilità. E a questo aspiriamo, nell’aiutare noi stessi e gli altri a non identificarsi con la propria mente instabile.