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Pema Chodron – Praticare la pace in tempo di guerra

Praticare la pace in tempo di guerra, di Pema Chodron, è un libricino piccolo e scorrevole, ma di un’intensità e profondità semplice e vera, che parla al cuore di ciascuno di noi.
E il cuore si schiude davvero, sempre un po’ di più.
Pagina dopo pagina, cresce nel lettore l’ispirazione e l’aspirazione a voler far germogliare la pace dentro di sé, a “trovare il luogo tenero in noi stessi e dimorarci”.
Pema, monaca di tradizione orientale (buddhista) di origini americane e autrice di libri dal successo internazionale, ci accompagna, passo per passo e con istruzioni semplici e chiare, a intraprendere un profondo viaggio di trasformazione interiore.

La guerra e la pace iniziano nel cuore degli individui

“La guerra e la pace iniziano nel cuore degli individui (…). La guerra comincia quando induriamo il cuore, ed è facile che succeda, a piccole dosi, o a dosi più massicce e più serie…”.
E così Pema inizia a chiamarci in causa, a dirci che la guerra e la pace dipendono da quanto induriamo o ammorbidiamo il nostro cuore.
Il nostro cuore, proprio il mio, proprio il tuo. E’ da qui che bisogna partire. Guardando dentro, con onestà, con coraggio, senza scuse.

E Pema ci aiuta a capire meglio in che modi induriamo il cuore:

“ Si crea una reazione a catena e penso che sappiate molto bene di che cosa stia parlando. Succede qualcosa, anche un’inezia, come il ronzio di una zanzara, e vi chiudete.
Se si tratta di qualcosa di più, o forse vi basta una zanzara, qualcosa in voi si rinserra e l’ultima cosa di cui siete consci è che impercettibilmente ha inizio la reazione a catena: cominciamo ad attizzare il malcontento con i nostri pensieri. I pensieri diventano il combustibile che accende la guerra.”

C’è del fondamentalismo in ognuno di noi…

Pema ci ricorda che tutti noi siamo un po’ fondamentalisti, “cioè molto convinti del nostro punto di vista”. Accade ogni volta che ci irrigidiamo, ci convinciamo di essere nel giusto e pensiamo che la nostra aggressività e le nostre reazioni siano ragionevoli e giustificate.

L’invito è quello di osservare il fondamentalismo quando sorge in noi:
La prossima volta che ti arrabbi, valuta la tua giustificata indignazione, verifica il fondamentalismo che sostiene l’odio che nutri verso questa persona, perché lei sì che è veramente cattiva (…). Una mente fondamentalista è una mente che è diventata rigida.
Prima si chiude il cuore, poi la mente si irrigidisce in un punto di vista.”

“Non ci sarà mai pace finché non si ammorbidisce ciò che è rigido nel proprio cuore.”

… e non c’è niente di sbagliato in nessuno di noi

Questa onestà e capacità di mettere in discussione la rigida àncora alle nostre idee è essenziale in questo lavoro di trasformazione, ma allo stesso tempo abbiamo bisogno di ricordarci non c’è nulla di sbagliato in noi quando ricadiamo nei vecchi schemi.
“La situazione di partenza è buona, è valida, sana e nobile, E abbiamo del lavoro da fare, perché abbiamo vecchie abitudini che stiamo rafforzando da anni e ci vorrà tempo per dissolverle.”
Una salda aspirazione è quella che può aiutarci a ricordare che provarci e riprovarci è importante, e questo impegno personale può dissolvere l’odio nella nostra mente e offrire calore e tenerezza al mondo.

La pazienza

Per praticare la pace, il primo ingrediente fondamentale che Pema Chodron suggerisce è la pazienza.
Quando accade qualcosa che ci irrita, immediatamente possiamo percepire un cambiamento, una sorta di “contrattura”, che Pema descrive come “abboccare all’amo”, e che è caratterizzata da una certa urgenza a voler fare qualcosa.
“Fa così male sentire l’aggressività che vogliamo che si risolva”.
La metafora è quella dell’impulso irresistibile a grattarsi quando si ha prurito. E così scattiamo nelle nostre reazioni abituali, ad esempio contrattaccando.
Ed è proprio lì, in quel momento così scomodo, quando ci sentiamo sui carboni ardenti, che possiamo esercitare la pazienza.
La pazienza significa a quel punto rallentare, fare una pausa, trattenersi dall’agire e fare silenzio.
Sedersi nel mezzo di quella vulnerabilità.
Non si tratta di reprimere, sottolinea Pema, ma di osservare in modo onesto ciò che sta accadendo in noi, senza alimentare il turbinio di pensieri e la storia che ci stiamo raccontando, senza agire e senza rispondere alla situazione.

“La pazienza è accompagnata da onestà e anche dalla capacità di restare fermi al proprio posto. Non reagiamo in modo automatico, anche se interiormente stiamo reagendo.
Lasciamo andare tutte le parole e stiamo con la crudezza della nostra esperienza.”

L’audacia

La pazienza ha bisogno anche di un’altra qualità: l’audacia.
Si tratta dell’audacia di imparare a sedersi sul fuoco di ciò che sentiamo, senza agire e reagire, senza alimentare il flusso di pensieri aggressivi… solo sentire. E aprire la mente, il corpo e il cuore a quel sentire, con una tenera e incondizionata amicizia per se stessi.
Occorre molto coraggio perché ci troviamo a tu per tu con il dolore da cui cercavamo di scappare.

“Vi sedete con quell’energia pulsante, tagliando di netto l’abitudine radicata all’aggressività, e fate la conoscenza della nuda energia della rabbia e del dolore che può causare se reagite. (…) Sviluppare pazienza e impavidità significa imparare a sedere fermi con la lama affilata dell’energia disagevole”.

La curiosità può aiutarci dentro a quel sentire scomodo, se ci si apre con stupore a scoprire di cos’è fatto, come si esprime, cos’è.

In intimità con il dolore e con le barriere

L’autrice ci rammenta la grande illusione umana nella quale tutti cadiamo: la tendenza a “evitare sempre il dolore e a rincorrere la felicità, nell’immaginare che ci possa essere una sicurezza durevole e una felicità a nostra disposizione se solo riuscissimo a fare la cosa giusta.
In questa vita faremmo un grande favore a noi e al nostro pianeta sbarazzandoci di questo vecchio modo di pensare.”

“… Finchè scappiamo sempre via dal disagio, resteremo intrappolati in un ciclo di infelicità e delusione, e ci sentiremo sempre più fragili. (…) Invece di chiederci: “Come faccio a trovare sicurezza e felicità?”, potremmo farci la domanda: “Posso entrare in contatto con il centro del mio dolore? Posso sedere con la sofferenza, mia e tua senza cercare di mandarla via?…”

“Proprio al centro della situazione, attraverso la pratica, possiamo familiarizzarci con le barriere che erigiamo intorno al cuore e a tutto il nostro essere. Possiamo entrare in intimità con come stiamo rintanati, attutiamo le sensazioni, le congeliamo. E questa intimità, che ci porta a conoscere così bene tali barriere, è ciò che comincia a smantellarle”.

Il luogo tenero

Quando pratichiamo in questo modo e proviamo a stare in quel luogo scomodo e allo stesso tempo mutevole, restando presenti all’insicurezza che stiamo sperimentando (e non è solida, passa…!), possiamo toccare uno spazio aperto, imparziale, privo di pregiudizi, inesprimibile e fondamentalmente buono e salutare.
Ecco il luogo tenero. Dietro ogni tensione c’è anche un luogo tenero.
Quando ci fermiamo, inspiriamo ed espiriamo, scopriamo di avere una scelta: possiamo alimentare l’aggressività, oppure connetterci con questo spazio tenero e dimorarci.

Questo ha a che fare anche con la compassione.
Se riusciamo a essere teneri e compassionevoli con tutte le parti di noi, anche quelle di cui abbiamo vergogna, allora possiamo entrare in contatto con gli altri , e con tutte le loro parti, grazie a questa interezza.
“Sentirete la sofferenza degli altri come se fosse la vostra. E sentirete la vostra sapendo che è condivisa da milioni di persone.”

“Guardi attraverso i tuoi occhi e vedi semplicemente te stesso ovunque tu vada: vedi tutte queste persone che continuano ad aumentare la loro sofferenza proprio come fai tu”.

Non complicate le cose

“Se volete che ci sia la pace, dalla pace della mente alla pace sulla Terra, ecco il compendio di tutte le istruzioni: state con la contrattura iniziale e non avvitatevi. Non complicate le cose.
Lo facciamo per noi stessi, e lo facciamo per tutti.
Perchè sappiamo che dentro al nostro impegno e alla nostra trasformazione, c’è il potenziale di trasformare anche l’aggressività e la paura nel mondo, e di generare più amore e tenerezza.

“Dobbiamo prenderci la responsabilità di quando il nostro cuore e la nostra mente si induriscono e si chiudono. Dobbiamo essere abbastanza coraggiosi da ammorbidire ciò che è rigido, da trovare il luogo tenero e dimorarci. Dobbiamo avere quel coraggio e quel senso di responsabilità. Questo è il guerriero spirituale. Questa è la vera pratica della pace”.

 

Un libro da leggere e rileggere, da interiorizzare come immancabile guida del proprio cammino di crescita personale.

Nashira Andreon

Psicologa Psicoterapeuta

 

 

 

 

 

 

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