Tutti noi abbiamo avuto qualche esperienza di rifiuto nella vita.
Potrebbe essere accaduto in amore, quando abbiamo ricevuto un “no” dalla persona che ci piaceva o siamo stati lasciati da chi amavamo. Oppure nel percorso lavorativo o scolastico, quando non ci siamo sentiti riconosciuti per le nostre qualità; o in altre relazioni più o meno significative, quando non ci siamo sentiti accolti, apprezzati, accettati per quello che siamo, o la distanza emotiva degli altri è arrivata affilata come una lama.
E’ un’esperienza il più delle volte dolorosa, per chiunque di noi. Questo possiamo dircelo e accettare che sia così.
Ma come possiamo rapportarci a questa esperienza dolorosa in modo che possa diventare un’occasione di conoscere, scoprire, elaborare, qualcosa di utile per noi?
Riconoscere la ferita
Di tanto in tanto, succede che la vita ci pone ancora di fronte a quella situazione in cui percepiamo negli altri un senso di distanza o rifiuto, qualunque sia la forma in cui si manifesti.
Ed ecco che, se prestiamo attenzione a cosa accade dentro e restiamo in ascolto, possiamo riconoscere ancora magari la traccia di una ferita, che forse torna a sanguinare un po’.
Tutto questo è molto umano e non c’è nulla di sbagliato in noi quando ci sentiamo sbagliati, feriti, rifiutati. D’altra parte, come esseri umani siamo ‘animali sociali’, e la nostra stessa esistenza e sopravvivenza fisica, psicologica ed emotiva, dipende dal sentirci in connessione con gli altri.
Abbiamo tutti un profondo bisogno di sperimentare amore e accoglienza.
Possiamo allora innanzitutto riconoscere la presenza di una ferita relazionale, quando essa si manifesta.
Il bambino interiore
Spesso le radici di questa ferita emotiva affondano nelle più precoci esperienze relazionali dell’infanzia, quando abbiamo vissuto alcuni momenti di relazione con i nostri genitori come esperienze di abbandono, non accettazione o non amore.
Quel bambino/a ferito, punito, abbandonato, è ancora un po’ qui con noi, nascosto tra le pieghe di un cuore un po’ ammaccato.
E questo non significa che non siamo abbastanza adulti e maturi. Significa che possiamo semplicemente vedere che c’è in ognuno di noi una parte sensibile al dolore, anche relazionale. Vederlo in noi, ci aiuta a riconoscere questa parte anche negli altri.
Siamo adulti, e allo stesso tempo c’è una memoria emotiva che ha radici antiche e profonde, che hanno bisogno di essere riconosciute, accolte, trasformate.
Com’è l’esperienza del rifiuto
Oggi non desidero soffermarmi sull’aspetto teorico del rifiuto, perché penso possa essere più interessante e utile calarci dentro la nostra stessa esperienza del rifiuto, e guardarla in modo intimo e personale, lasciando che possa insegnarci quello che ha da insegnarci, di volta in volta.
Cos’è questa esperienza di sentirmi rifiutato, non desiderato, non apprezzato, non amato?
Ti sei mai fermato/a a sentire l’esperienza del rifiuto, proprio mentre la stavi vivendo?
Non mi riferisco all’analisi razionale – “perché quella persona mi ha rifiutato, cos’ho fatto di male, come posso rimediare” ecc. – ma al portare l’attenzione giù, in fondo, dentro di te.
Lascia andare la storia, il racconto, i pensieri e l’analisi… e semplicemente senti questa esperienza.
Il primo passo per portare consapevolezza nel rifiuto è osservare in modo consapevole cosa accade dentro di noi quando ci sentiamo rifiutati. Non in termini assoluti e generali, ma proprio ora, in questo momento qui.
Quando vivi questo tipo di esperienza, porta un senso di gentile curiosità.
Cosa sto sperimentando, proprio ora? Come sento questa esperienza nel corpo? Che sensazioni ci sono?
Non aggiungere interpretazioni e significati, resta solo lì, presente a ciò che stai sperimentando, con un senso di accoglienza.
Prestare questo tipo di attenzione, calata nell’esperienza, ci permette di essere presenti a noi stessi mentre la stiamo vivendo. Se siamo presenti, anche nel corpo, e se la mente può restare silenziosa e ricettiva, possiamo ascoltare più in profondità cosa ha da dirci questo vissuto, in questo preciso momento.
Osserva la tua reazione al rifiuto
Cosa fa la tua mente, quando ti senti rifiutato, allontanato, abbandonato?
E’ molto interessante scoprire come la propria mente tende a reagire di fronte a questo tipo di sofferenza, e anche notare se le reazioni possono essere diverse di volta in volta.
Quando la sofferenza è profonda, la mente può infatti cercare dei modi per rendere questo dolore un po’ più sopportabile.
Per esempio, potremmo cercare di raccontarci che in fondo le cose non stanno proprio così come si presentano (“mi sta negando un appuntamento, ma in fondo so che gli piaccio..”), oppure potremmo cercare di cambiare l’opinione che l’altro ha di noi, o ancora potremmo cercare di soffocare quella sensazione insopportabile di dolore, in molti modi.
- Lo rinneghi, cercando di ricostruire la storia in un modo più accettabile?
- Cerchi di cambiare la situazione, per ottenere accoglienza e interesse?
- Cerchi di non sentire ciò che stai sentendo?
- Reagisci con rabbia e rancore?
- Prendi le distanze dalla persona o da ciò che sta accadendo?
- Ti identifichi con quel che è accaduto o che ti hanno detto, dando un valore di verità assoluta?
Prova a portare curiosità, ma con un senso di accoglienza e tenerezza; sii benevolo con te stesso mentre osservi come ti relazioni all’esperienza del rifiuto.
Non c’è nulla che non vada in te anche nel modo in cui cerchi, inconsciamente, di rendere la ferita un po’ più tollerabile.
Osserva se c’è resistenza
A volte, accade che reagiamo al rifiuto rifiutando in varie forme il rifiuto stesso.
In quanti modi possiamo opporre un senso di resistenza al rifiuto?
Alcuni degli esempi riportati sopra, sono modi in cui cerchiamo di fuggire dal senso di rifiuto, opponendo resistenza alla sua presenza.
- Quando cerchiamo di raccontarcela, per esempio, illudendoci che la situazione sia diversa da come è, potrebbe essere un modo per evitare quella sensazione spiacevole di sentirci rifiutati, non apprezzati, non amati.
Quando ti accorgi di questo, potresti provare a narrarti la storia nella sua versione più nuda, e notare cosa accade in te se entri in contatto con l’essenza del rifiuto, senza alcun abbellimento della storia. Non si tratta di diventare duri con noi stessi, ma di avvicinarci in modo aperto alla sofferenza che magari stiamo tenendo un po’ soffocata.
- Quando facciamo di tutto per farci apprezzare dagli altri o per indurli a cambiare idea su di noi, potrebbe essere un modo per evitare di fare i conti con questa esperienza dolorosa.
In qualche modo, stiamo rifiutando la possibilità che ci rifiutino.
Possiamo lasciare all’altro la piena libertà anche di poterci non apprezzare, allontanare, o non ricambiare? Possiamo sentirci amabili anche se non siamo apprezzati?
- Quando sorge rabbia e diamo la colpa all’altro per averci fatto sentire rifiutati, anche questo è un modo per non essere in contatto con quel sentire spiacevole; c’è una resistenza e opposizione che si manifesta apertamente “contro” l’altro… ma in realtà l’opposizione che stiamo sperimentando è contro il fatto in sè di sentirci rifiutati.
Cosa accade se permettiamo a questa esperienza di esserci?
Possiamo anche prendere consapevolezza di come questa resistenza a sperimentare il rifiuto, si traduca poi in una resistenza a permettere agli altri di avere la piena libertà di scegliere cosa sentire verso di noi.
Se possiamo arrivare al cuore di questa esperienza interna, e prenderci cura del nostro sentire con tenerezza, ecco che potrà sorgere un senso di spazio che potremo offrire in modo pieno anche agli altri, in qualunque situazione e relazione.
Non renderlo solido
Ci sono molti modi in cui possiamo rendere un rifiuto ancora più solido, pesante, schiacciante, di quanto non sia l’esperienza di per sé.
Tutte le storie e i racconti che costruiamo a partire da quel rifiuto, possono avere il potere di amplificare l’effetto di quanto accaduto, se diamo un valore di verità alle storie che ci raccontiamo e se alimentiamo le credenze che costruiamo intorno a noi stessi o agli altri.
Per esempio:
- Il rifiutante e il rifiutato: quando ci coinvolgiamo in pensieri che riguardano l’altro come persona che rifiuta e noi come persona rifiutata.
Potremmo per esempio cercare di attribuire l’origine (o colpa) del rifiuto nell’altro o in noi stessi (per es. “è una persona giudicante..”, “dev’esserci qualcosa che non va bene in me..”).
Questo non ci aiuta ad arrivare al cuore dell’esperienza, e rischia solo di dare altra energia al senso di separazione che si prova.
Ciò che va ascoltato qui non sono i pensieri contro l’altro o me stesso, ma la contrattura che sorge come reazione e che può diventare aggressività verso l’altro o noi stessi; è a quella che va posto un orecchio tenero e attento.
Prova ad ammorbidire ciò che è contratto, anche quando la contrattura è verso te stesso. - “E’ sempre stato così, sarà sempre così”: anche vedere il rifiuto come qualcosa di permanente che continua e continuerà a ripetersi nel tempo, è una credenza che rende più solido e doloroso il rifiuto, ma che non ha nulla di reale.
Prova a spogliare il vissuto che stai sperimentando da tutte le credenze. Vai all’essenza.
E’ solo un’esperienza che accade mentre accade, e che la consapevolezza può riconoscere e sentire.
Sentire, e aprirsi a ciò che c’è, così com’è
Abbiamo solo bisogno di fermarci a sentire quest’esperienza dolorosa, lasciarci attraversare da questo dolore percependolo con la consapevolezza, lasciare che sia così com’è.
Senza cercare di mandarlo via, di cambiarlo e razionalizzarlo.
Respira in queste sensazioni. Il tuo respiro può contenerle, abbracciarle, tollerarle.
Nota come, quando la tua attenzione scende dal luogo dei pensieri alle sensazioni incarnate nel corpo, l’emozione può diventare più tollerabile.
Puoi immaginarti di essere spazioso abbastanza da lasciare che l’esperienza del rifiuto possa stare lì, e occupare tutto e solo il posto di cui ha bisogno… nulla di più, nulla di meno.
Lo spazio del silenzio
Quando la mente si raccoglie, in modo silenzioso, nell’esperienza del momento presente, può crearsi spazio per lasciar emergere nuove consapevolezze, dalla parte più profonda e saggia di noi.
Ecco qualche domanda che puoi lasciar risuonare nel silenzio della mente, senza andare alla ricerca di una risposta… lascia che arrivi.
- Cosa sta toccando questa esperienza?
- C’è una ferita più profonda, al di là della situazione contingente?
- Qual è la parte ferita? Quali parti si sentono ancora intere?
- Tendo a identificarmi, vedendo me stesso/a come persona rifiutabile e non amabile?
- Posso essere una donna o un uomo che sa accogliere il rifiuto e sa integrarlo come parte di un’esperienza più vasta di sé e dell’altro?
- Posso sentirmi completo/a e amato/a al di là di ogni rifiuto?
In questo silenzio, puoi anche esplorare da dove sorge in te questa percezione di sentirti rifiutato: qual è il desiderio, bisogno, ricerca, che hai riposto nell’altro e che è stato respinto, generando questa sensazione di rifiuto.
Respirando in ciò che senti, puoi anche ampliare lo sguardo e iniziare a vedere quest’esperienza come dallo sfondo.
Stai guardando l’oggetto del rifiuto (per esempio identificandoti come persona non amabile), o lo sfondo più ampio, l’intera prospettiva allargata?
Nell’ampliare lo sguardo, può sorgere spazio per accogliere il rifiuto, e anche il rifiutante, e il rifiutato. C’è spazio perché un’esperienza possa essere solo un’esperienza.
Amare se stessi
Il modo migliore in cui puoi prenderti cura del bambino ferito che è in te, è offrendoti amore in modo incondizionato. C’è una sola persona che può renderci davvero felici, e quella persona siamo noi stessi.
Quando ti senti ferito e abbandonato, puoi ancora scegliere di non ferirti e non abbandonarti.
Sii lì per te, con cura, tenerezza, calore. Riparti da questo amore, che curerà ogni ferita.
Dalla sofferenza all’empatia
Se sappiamo attraversare pienamente la nostra esperienza del rifiuto, con consapevolezza e comprensione, potremo generare comprensione ed empatia anche per gli altri, e per i modi in cui ciascuno di noi può sentirsi in qualche occasione un po’ ferito, allontanato, giudicato, abbandonato.
Il calore genera ancora calore, e si espande intorno.
Buon ascolto!
Nashira Andreon
Psicologa Psicoterapeuta
Altre risorse utili:
Leggi: Sviluppare compassione per se stessi , Trasformiamo l’atteggiamento con cui ci guardiamo
Ascolta la meditazione guidata: Meditazione guidata per rispondere allo stress
per incassare il colpo va benissimo. ma l’articolo sembra ESCLUDERE che la cosa davvero sia ripetitiva e che davvero ci sia una causa… perché se avessi letto questo articolo 30 anni fa avrei potuto trovare conferma a ciò che già pensavo: al rifiuto io devo solo comprendere “soffro” e lasciare che chi mi ha escluso (il rifiuto si manifesta anche così) facesse le proprie scelte.
Ma la ripetitività di un tipo di evento, dato di fatto, qui sembra essere esclusa, non trovando quindi una via alla soluzione… lasciando a chiefersi proprio qei perché m i cosa sbaglio, cosa SONO.
Buongiorno, grazie del commento.
L’invito qui voleva essere quello di esplorare l’esperienza in sè del rifiuto, e ciò che accade in noi, provando a portare curiosità, consapevolezza, nell’essere presenti all’esperienza in quanto tale.
Naturalmente, è importante anche un’esplorazione degli aspetti relazionali e di cosa mettiamo in campo nel relazionarci con gli altri, magari anche con l’aiuto di un professionista. L’intento qui era quello di invitare a incontrare l’esperienza mentre accade, così da poterci relazionare ad essa da uno spazio di consapevolezza.
Saluti,
Nashira Andreon