Nell’articolo precedente abbiamo esplorato la nostra bussola personale- ovvero ciò che ciascuno di noi intende per comprensione reciproca e per incomprensione.
Ogni bussola, ogni significato che diamo alla comprensione, contiene in sé dei limiti; essere consapevoli dei propri è importante per inoltrarsi nel viaggio dell’esplorazione dell’altro.
Una possibile bussola ci viene fornita anche dalla Psicologia dei Costrutti Personali; anch’essa è da intendersi come una bussola, non come la bussola: si tratta di una teoria valida tanto quanto le nostre teorie personali, ma abbastanza ampia e flessibile da poter essere una teoria delle teorie personali. L’invito è quello di sperimentarla e vedere se ci può essere utile.
Tanti sguardi sul mondo
Secondo la Psicologia dei Costrutti Personali, ogni persona è impegnata a dare un senso al proprio mondo, attribuendo significati personali agli eventi.
Ognuno infatti, sulla base delle proprie esperienze e del modo in cui le ha vissute personalmente, ha creato un ricco sistema di significati; essi sono come ipotesi che testiamo e rivediamo a seconda delle esperienze che facciamo.
Secondo la Teoria del Costrutti Personali, non ha dunque senso parlare di un’unica realtà “oggettiva”, ma di tante “realtà” quanto sono le persone che la osservano: ciascuno interpreterà la stessa realtà attraverso le “lenti”, di significati personali, che indossa.
La comprensione secondo la Psicologia dei Costrutti Personali
Secondo questa teoria, comprendere gli altri significa allora tentare di dare un senso al modo in cui l’altro dà senso al suo mondo; significa accostarsi all’insieme di significati dell’altro, cercando di comprenderli alla luce dei propri.
In altre parole, significa guardare attraverso i suoi occhi.
Per farlo, occorre innanzitutto non dare per scontato che l’altro veda il mondo come lo vediamo noi, che interpreti gli eventi come facciamo noi, che abbia gli stessi significati che usiamo noi, che provi gli stessi sentimenti ed emozioni che proveremmo noi a fronte delle stesse esperienze.
Significa riconoscere l’altro come un attivo creatore di realtà, portatore di una prospettiva dotata di un senso, altrettanto valida quanto la nostra e non riducibile alla nostra né a quella di nessun altro, e le cui sfumature potranno continuamente sorprenderci, se siamo osservatori abbastanza attenti da non dare per scontato ciò che vediamo.
Significa vedere la persona nella sua unicità, rinunciando alla tentazione di inquadrarla in categorie di persone che riconosciamo simili a lei per qualche caratteristica – ad es. inquadrarla come persona “razionale” perché sappiamo che è un matematico e abbiamo l’idea che i matematici siano persone razionali.
Significa essere sinceramente interessati a voler vedere le cose dal suo punto di vista, invece che dal nostro.
Indossare le lenti dell’altro
Il primo passo per provare a indossare le lenti dell’altro è tanto banale quanto essenziale: consiste semplicemente nel chiedergli come vede le cose dalla sua prospettiva.
G. Kelly, fondatore della Psicologia dei Costrutti Personali, disse: “Se non sai una cosa di una persona, chiedigliela; magari potrebbe dirtela”.
Per avvicinarci all’altro, occorre partire dal presupposto che non conosciamo già la “storia intera” e che non possediamo la verità su di lui; occorre rinunciare alle nostre interpretazioni e alla tentazione di credere di sapere già in partenza cosa l’altro pensa, prima ancora di avergli chiesto.
L’alternativa è quella di interessarci, di chiedere, di esplorare, riconoscendo all’altro la legittimità della sua prospettiva sul mondo.
Si tratta di assumere che la sua visione delle cose ha sempre un senso ed una coerenza per l’altra persona, anche se dal nostro punto di vista fatichiamo a vederli.
Non si tratta di dargli ragione, ma di assumere che entro la sua prospettiva c’è una ragione, c’è un senso per lui in tutto quello che dice, pensa e fa.
Ad esempio, per qualcuno potrebbe apparire contraddittorio il comportamento di un insegnante che qualche volta è premuroso e benevolo verso i suoi alunni e altre volte è severo ed esigente. Ma per lo stesso insegnante, questi comportamenti potrebbero trovare un senso nel modo in cui vede il proprio ruolo di insegnante: la coerenza potrebbe essere rintracciata nell’interesse sincero ad aiutarli a realizzare il loro potenziale umano e intellettivo.
Per comprendere la coerenza del punto di vista dell’altro, possiamo chiedergli di aiutarci a vedere come ciò che per noi è contradditorio è invece perfettamente logico per l’altro.
Dobbiamo perciò sospendere la nostra logica personale, e mantenerci aperti e curiosi verso altri modi possibili di vedere le cose.
Quale confine nella comprensione?
Nel precedente articolo, ci eravamo soffermati a interrogarci sul senso e i limiti di ciò che personalmente ognuno di noi intende per comprensione.
Qual è invece il limite della comprensione reciproca, secondo la Teoria dei Costrutti Personali?
E’ possibile riuscire a conoscere e capire perfettamente e totalmente l’altro?
Se assumiamo che qualsiasi visione della “realtà” dipende sempre dallo sguardo di chi osserva e dai suoi significati personali, allora dovremo concludere che anche qualsiasi nostra comprensione dell’altro sarà pur sempre filtrata in qualche modo da come i nostri occhi guardano attraverso le sue lenti.
Il tentativo di guardare con le lenti dell’altro non va confuso con la certezza di poter vedere esattamente ciò che vede l’altro.
Osservatori diversi infatti noteranno aspetti diversi e avranno ipotesi e teorie differenti sulla stessa persona. Proviamo a pensare ad esempio a come ci vedono gli altri: probabilmente l’idea che hanno di noi è diversa a seconda che si tratti di un amico, o di una persona a cui non piacciamo, o del nostro capo, o dei genitori, o del partner, e così via. Ognuno vedrà in noi qualcosa di diverso.
E nessuno di loro ha la verità in tasca su di noi.
E’ quindi importante tenere presente che ogni nostra comprensione degli altri è un’ipotesi, che può essere verificata all’interno della relazione; ma resterà sempre un’ipotesi, una delle tante possibili, e come tale, è importante saperla rivedere quando essa non ci aiuta più a capire l’altra persona.
Infine, è essenziale riconoscere che ogni persona non è mai statica, ma è sempre in movimento: vederla come tale ci aiuta a non intrappolarla, e a concederle la possibilità di cambiare anche ai nostri occhi.
Ciò che conta non è cosa vediamo ma come guardiamo
Quando ci mettiamo nell’ottica di comprendere la prospettiva dell’altro dal suo punto di vista, ciò che conta non è il risultato, cioè l’accuratezza della nostra comprensione dell’altro- che sarà sempre un’approssimazione e un’ipotesi- ma l’atteggiamento con cui ci disponiamo nei suoi confronti, l’apertura a considerare il suo punto di vista, l’interesse sincero al modo in cui vede e sente le cose, la disposizione a tentare di comprendere i suoi significati.
Ciò che conta è come guardiamo all’altro e come ci interessiamo al suo mondo.
Nashira Laura Andreon
Psicologa Psicoterapeuta
bellissimo articolo
Grazie mille.