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Una bussola per comprendere gli altri- I rischi dell’incontro

Addentrarsi nel viaggio di comprensione degli altri può essere un’avventura meravigliosa, emozionante, ma, come ogni avventura, comporta anche qualche rischio.
Permettersi di esplorare, in fondo, significa accettare di navigare a mare aperto, di esporsi ai pericoli dell’ignoto, di inoltrarsi nella fitta nebbia con la visuale ridotta e quasi ciechi al cammino, di sporcarsi, di cadere, di ferirsi.
Avvicinarci agli altri con la disposizione a comprenderli comporta inevitabilmente il meraviglioso rischio dell’incontro.
Ma di che rischi parliamo?

L’incertezza di una comprensione personale

Negli articoli precedenti abbiamo visto come comprendere gli altri significa innanzitutto rinunciare alla pretesa di disporre di qualche inconfutabile verità sull’altro, accantonare qualche incontrovertibile certezza, essere disposti a sostituire le nostre rassicuranti risposte con nuove domande che permettano un’esplorazione aperta, curiosa e sufficientemente flessibile dell’altro.
Comprendere in modo “personale” richiede di disfarsi delle categorie di conoscenza impersonale per avvicinarci ai modi in cui l’altro conosce personalmente il suo mondo; se vogliamo avvicinarci all’unicità dell’altro dobbiamo ogni volta cominciare un nuovo viaggio di scoperta, ripartire da zero per lasciarci sorprendere da tutte le sfumature che sfuggono al nostro sguardo.
Nell’articolo precedente abbiamo visto come, ad es, le etichette e gli stereotipi incanalano la nostra conoscenza degli altri, intrappolandoli dentro a categorie di significato già precostruite.
Eppure ci offrono la confortevole quanto illusoria sensazione di avere qualche controllo della situazione.
Comprendere significa accettare di riconoscersi sempre un po’ ignoranti rispetto alla conoscenza degli altri, significa tollerare le incertezze e accettare di procedere nell’incontro con la nostra visuale un pochino offuscata.
Ma a chi piace camminare nella penombra senza qualche sicuro appiglio?
Si potrebbe correre il rischio di perdere il controllo e inciampare.
Rinunciare alla sicurezza è indubbiamente faticoso.

Mettersi in discussione

Aprirsi a comprendere il vissuto dell’altro comporta un rischio ancor più minaccioso della rinuncia alle proprie certezze: quello di dover mettere in discussione qualcosa di sé.

Se comincio a guardare le cose dalla prospettiva dell’altra persona, potrei scoprire di dover rivedere tutto quello che fino a quel momento ha guidato la mia conoscenza dell’altro e il mio comportamento nei suoi confronti.
Se inizio a vedere l’altro in modo diverso, potrei rischiare di dover guardare anche a me stesso in modo diverso.
Supponiamo ad es. di aver sempre pensato che una persona fosse egoista e di esserci comportati in modo coerente a questa nostra convinzione: potremmo averle riservato lo stesso trattamento, o aver nutrito un nostro risentimento nei suoi confronti, o averla evitata, o forse il confronto con questa persona ci ha permesso di mantenere salda la convinzione di essere persone migliori.
In questo caso, guardare le cose dal punto di vista di questa persona potrebbe rivelarsi minaccioso per noi: potremmo scoprire che ciò che fino a quel momento abbiamo chiamato egoismo poteva avere un senso diverso per questa persona. E a quel punto, potremmo dover rivedere anche qualcosa di noi.
Ma mettersi nei panni dell’altro può diventare ancor più minaccioso se l’altro è qualcuno che vivo come un “nemico”.
Come dice Miller Mair “se comincio ad ascoltare un po’ di più il mio nemico, rischio di trovare che ciò che dice ha un senso. E allora cosa ne è di tutto ciò a cui ho creduto o fatto in passato? Che cosa ne è di me e del mio modo di vivere che si è sempre basato sul contrasto con quest’altra persona, e sul suo rifiuto? (…)
Se voglio arrivare a capire ciò che preoccupa il nemico temuto, devo cambiare me stesso per potermi avvicinare a lui o a lei con la disponibilità ad ascoltare.”
Assumere che, dal suo punto di vista, ciò che il mio “nemico” vive ha un senso, potrebbe mettere in discussione anche quella parte della mia identità che costruisco all’interno dello scontro con questa persona.
E questo, diciamocelo, potrebbe essere particolarmente spiacevole e faticoso.

Inoltre, permettersi di indossare le lenti di chi vede il mondo in modo diverso da noi, significa poter scoprire che esistono modi differenti di costruire la stessa “realtà”: tutto ciò che per me era un assodato punto fermo potrebbe essere stravolto dalla nuova prospettiva che le lenti dell’altro mi offrono.
Aprirsi ad altri sguardi possibili, significa darsi l’occasione di immaginare realtà differenti e nuovi modi di stare e vivere nel mondo. Significa aprire la strada a nuove alternative possibili per noi.
Questa può essere una preziosissima occasione di crescita e arricchimento, e l’opportunità di uscire dai tracciati ormai consunti e dolorosi dei nostri significati per creare e ricreare molteplici alternative e potenzialità.
Ma il prezzo da pagare, ancora una volta, è quello di rendersi persone disponibili a riprendere in mano le proprie conclusioni personali con un aperto spirito interrogativo, a percorrere vie inesplorate, a immaginare altri sguardi possibili…. in altre parole, a rivedere se stessi.

Il rischio del contatto

Avvicinarci agli altri con l’interesse sincero a comprenderli, significa, come dice Miller Mair, anche immergersi dentro i panni dell’altro, lasciarsi coinvolgere, toccare, restare “un gradino sotto” per lasciarsi istruire dal vissuto dell’altro, anziché mantenerci “fuori”, distaccati, separati, stando “sopra” e controllando gli altri.
Significa correre il rischio di un contatto intimo e profondo con gli altri nella misura in cui ci permettiamo per un po’ di guardare coi loro occhi e sentire con la loro pelle.
Significa dare agli altri il potere di toccarci, di essere significativi per noi e noi per loro, magari di ferirci, forse anche cambiarci.
E tutto questo un pochino potrebbe spaventarci.
Potrebbe essere più facile mantenere la mia posizione, la mia distanza, i miei pregiudizi, la mia sicurezza, il mio controllo.
Piuttosto che rischiare quel contatto che può coinvolgere la mia identità.

Comprendere le proprie difese e assumere nuove prospettive

In che modo possiamo permetterci di correre simili rischi nell’incontro con gli altri?
Come posso affrontare la paura di sentire i miei limiti, i miei difetti, il timore di dover rivedere me stesso, di sentirmi esposto, ferito, smascherato, vulnerabile, in presenza dell’altro?
Forse, prima ancora di entrare in contatto con l’altro, devo concedermi di essere in contatto in modo autentico con le mie paure, guardarle, accoglierle, e infine farmene qualcosa.
E se la comprensione è un fenomeno relazionale in cui l’atto del comprendere non si esaurisce in modo unilaterale, ma esprime la sua circolarità nel potenziale trasformativo anche per chi agisce la comprensione, allora potremmo pensare che la comprensione verso gli altri non può essere separata dalla comprensione verso se stessi.
Per comprendere l’altro, potrei esercitare allora la medesima comprensione verso me stesso: mettersi in discussione non significa necessariamente doversi condannare, cambiare non equivale a essere stati “sbagliati”, ripensare in modo diverso all’altro e a sè non implica che ciò che prima si pensava non avesse un suo senso nella precedente prospettiva.
Posso correre il rischio di mettere in discussione qualcosa di me e delle mie convinzioni se questo atto autoriflessivo non si trasforma in giudizio verso me stesso, ma se comincio a vedere in questo nuove possibilità per me e per i miei orizzonti relazionali.
Si tratta di guardare a sè e agli altri cercando un senso comprensibile e percependosi come persone in movimento capaci di reinventare le cornici entro cui ci si muove.
Per farmi “un gradino sotto”, devo concedermi una prospettiva più ampia all’ interno della quale il rischio di rivedere me stesso, rinunciare alle mie certezze e al bisogno di salvare la faccia, diventino possibilità, e siano sufficientemente tollerabili da consentirmi di avanzare verso lo sterrato sentiero della comprensione.

Un invito a riflettere

Esercizio

Esercizio

Pensa a una persona con cui ti senti in conflitto. Rifletti su cosa succederebbe per te se tu iniziassi a pensare che ciò che dice, fa e pensa questa persona avesse un senso per lei. Prova ad assumere che dal suo punto di vista abbia “ragione” (la sua ragione, non la ragione in senso assoluto): come vede le cose? Come ti senti a guardare con i suoi occhi? Quale concezione che hai di te stesso/a senti messa in discussione?

Nashira Laura Andreon

Psicologa Psicoterapeuta

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